Quindici anni non sono bastati per arrivare a una verità processuale. E quello dell’omicidio avvenuto nella centralissima via Toledo, a Napoli, il 13 agosto 2005 quando il giovane Raffaele Iannaccone fu ucciso a colpi di mazze da baseball nel pub dove lavorava, resta un giallo irrisolto, un “cold case” come si dice nel gergo investigativo, un esempio di come il tempo che scorre rende sempre più difficile la soluzione delle vicende che arrivano all’attenzione della giustizia. È anche un esempio di come le inchieste costruite sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia rischiano spesso di franare, e qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo per analizzare come nel nostro sistema giudiziario a volte basti veramente poco per finire sotto accusa.

Ma torniamo al caso che quindici anni fa sconvolse Napoli e che l’altro giorno ha segnato una svolta in un processo che per la Direzione distrettuale antimafia avrebbe dovuto concludersi con severe condanne per i tre imputati, trenta anni di carcere, novanta anni nel complesso. Era stata infatti questa la richiesta della pubblica accusa alla fine di un lungo dibattimento. Alla fine i giudici hanno assolto tutti e tre gli imputati. Si tratta di personaggi ritenuti vicini ad ambienti di camorra: Salvatore Equabile, Eduardo e Francesco Terracciano.

L’omicidio di Raffaele Iannaccone fu un massacro. Il giovane lavorava in un pub, fu raggiunto e aggredito con le mazze da baseball che i killer si erano portati con sé e con gli sgabelli in acciaio che arredavano il locale. Fu un’azione fulminea quanto efferata, e non lasciò alcuna speranza di sopravvivenza alla vittima. Le indagini non riuscirono a imboccare subito una pista per consegnare alla giustizia i responsabili, si ipotizzò un movente legato a un debito non pagato ma soltanto dodici anni dopo si arrivò all’arresto di Equabile e dei Terracciano, imparentati tra loro e imparentati con il collaboratore di giustizia che nel frattempo, pentendosi, aveva raccontato agli inquirenti dettagli su quel delitto. A lui si erano poi aggiunti altri pentiti arrivando a convincere gli inquirenti della Dda che la soluzione del giallo investigativo fosse vicina. Nel 2017 scattarono gli arresti per i tre indagati, il Riesame confermò il quadro indiziario, il giudice dell’udienza preliminare dispose il rinvio a giudizio.

Il collegio difensivo, composto dagli avvocati Dario Vannetiello, Gennaro Pecoraro e Giovanni Fusco, ha riletto le carte, ha analizzato parola per parola le dichiarazioni dei vari collaboratori di giustizia e le ha calate in uno scenario di rancori tra personaggi legati a clan diversi che in quel momento si contendevano uno spazio nella gestione del malaffare, scenario che in qualche modo offuscava la limpidezza dei racconti dei pentiti. In dibattimento la difesa ha addirittura sollevato il sospetto di un accordo tra i pentiti per dare un’univoca ricostruire di quell’agguato del 2005. Possibile? Per saperlo bisognerà leggere le motivazioni dei giudici.

Sta di fatto che in processi come questo – soprattutto quando ci si ritrova a fare i conti con il tempo che scorre e che mette un’enorme distanza tra i fatti al centro del processo e il processo stesso – l’analisi di ogni dettaglio contenuto nel fascicolo può fare la differenza. La difesa ha messo in evidenza che il collaboratore chiave del processo, per esempio, non poteva aver incontrato Equabile subito dopo il delitto perché in quei giorni di agosto del 2005 era in Grecia. Di qui il crollo del castello accusatorio e l’assoluzione degli imputati. E il delitto Iannaccone resta ancora senza colpevoli. 

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).