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Che cos’è un Trend e perché va accompagnato e non contrastato
Dopo il crollo degli anni scorsi dovuto al Covid, in Europa la gente ha ripreso a comprare auto, leggevo l’altro ieri: in confronto allo stesso mese del 2022, nel giugno 2023 c’è stato un aumento di immatricolazioni del 17,8%. Ma la notizia che mi ha colpito è che le vendite di auto elettriche (dal 10,7% al 15,1%) hanno superato quelle delle vetture con motore diesel, ferme al 13,4% (quelle a benzina conservano il 36,3% del mercato). Un sorpasso simbolicamente importante, molto concentrato nei paesi scandinavi, meno significativo nei paesi del Sud, quasi irrilevante in Italia, dove l’elettrico copre una quota del 3,9% del mercato.
La notizia ha risvegliato in me un antico pregiudizio favorevole verso il Nord Europa, verso i loro stili di vita e le tendenze che da quelle parti si manifestano: se i vichinghi scelgono l’elettrico, mi sono detto, avranno ragione, e ci sta che noi – arretrati e incivili per definizione – anche in questo caso ci ritroviamo in coda alla classifica di una buona pratica. Partorito il cattivo pensiero, quasi per riequilibrare il mio atavico bias, ho chiesto cosa si pensasse dei dati emersi in una chat di qualificatissimi amici, cui mi accomuna un sentimento piuttosto critico nei confronti della cosiddetta transizione ecologica. Attenzione. Non che tra di noi si sia contrari alla transizione, nessuno lo è.
Solo che nella agguerrita e informatissima bolla tutti (o quasi) siamo sostenitori di una transizione ecologica ed energetica realistica e sostenibile, oltre che sul piano ambientale, anche su quello economico e sociale; nessuno (o quasi) si fa ammaliare dai piani astratti e burocratici dell’Unione Europea; e nessuno apprezza (eufemismo!) i furori ideologici degli estremisti dell’ambiente. Questo è il mood generale, lì dentro.
Così, la mia ingenua domanda (“ma insomma, cosa pensate di queste benedette auto elettriche? Che futuro avranno?”) ha scatenato un diluvio di risposte argomentatissime, puntute, con annessi grafici, scenari futuri, alate considerazioni geopolitiche. Una roba che mi ha lasciato però vagamente insoddisfatto. Perché io avevo chiesto ai miei amici di leggere e misurarsi con un evidente “trend” in atto, non di fare preziose e coltissime bucce a quanto accade.
Ma che cos’è un “trend”? Forse è su questo che bisogna intendersi. E che cosa lo distingue da una moda passeggera, da un’infatuazione, da una bolla che scoppia dopo una stagione di gloria? Difficile cogliere il “segnale” di un trend nel generale “rumore” di fondo in cui siamo immersi. Ma gli indicatori si possono rintracciare, al di là dei numeri in sé. “Trend” è un fiume carsico che improvvisamente si palesa, un’attitudine che si diffonde nei comportamenti delle persone, nel modo in cui interagiscono con il mondo, e che a un certo punto inizia ad accompagnarsi a fattori strutturali (cambiamenti tecnologici, economici, sociali). Quando si realizza questa specie di salto quantico, la combinazione di fattori diventa invincibile.
E a quel punto – lo so, l’affermazione è forte – è inutile e sbagliato combattere il trend, almeno con le armi tradizionali: argomenti razionali o filippiche appassionate che siano. Inutile “prenderlo di faccia” il trend, perché finisci per rafforzarne gli aspetti più radicali. Meglio starci dentro, accompagnarlo in punta di piedi, cercando di mitigarne gli aspetti eccessivi o deflagranti. Quindi sensibilizzando con pazienza l’opinione pubblica, lavorando con spirito sempre positivo per la soluzione dei problemi che l’avanzare cieco del trend può provocare. Questo in qualunque campo si manifesti, compreso – come è evidente – quello politico (e chi vuol capire capisca!).
PS. E comunque – detto tutto questo – sappiate, cari amici della pregiata chat, che dall’altro ieri vi voglio più bene di prima!
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