Il reato ipotizzato è odioso. Ma se ogni processo per stupro dovesse finire abitualmente in prima pagina – colpevolezza o innocenza a parte – purtroppo avremmo un solo argomento, sempre, in primo piano. Ma in questo caso tanta attenzione si giustifica solo perché tra gli imputati c’è Ciro Grillo. Il figlio del fondatore del M5S è accusato, con tre amici, di stupro di gruppo a danno di una studentessa italo-norvegese di 21 anni all’epoca dei fatti, avvenuto nel luglio del 2019 nel residence di proprietà del padre, a Cala di Volpe in Sardegna. Il campione del giustizialismo è stato travolto dalla peggiore nemesi storica, attraverso una vicenda che riguarda il figlio. Ma perché le colpe dei padri (colpe politiche, beninteso) devono ricadere sui figli, turbando non poco la necessaria serenità che deve riguardare il giudizio di un fatto così terribile per la vittima e – fino a prova contraria, e fino al terzo grado di giudizio – anche per gli imputati?
Grillo e il giustizialismo transitivo
Ho molte ragioni, anche personali, per considerare scellerata l’ideologia manettara e “colpevolista” (più che giustizialista) di Grillo-padre e dei suoi epigoni “grillini”, in verità rappresentati in molti schieramenti della politica italiana. Ma il garantismo non mi abbandona. In questo caso più che mai: l’imputato “di richiamo” attira tutte le attenzioni mediatiche solo perché è figlio di cotanto padre. Ma che colpa ne ha? Perché deve essere sottoposto alla gogna mediatica quasi quotidiana in attesa di sapere come finirà il primo (il primo!) grado di giudizio?
Beppe Grillo ha già dovuto pagare, parzialmente, le conseguenze della vicenda. E qui sta una parte della nemesi: per il solo fatto di avere un figlio imputato (ripeto: un reato indegno) il fondatore ha dovuto farsi da parte, abbandonando la sua creatura politica nelle mani di un erede immacolato (fino alla prima macchia, ovviamente). Giustizialismo transitivo. Nemmeno la fantasia creativa del comico avrebbe osato tanto. Da padre si è sperticato nella difesa del figlio – e quale padre non avrebbe cercato tutti gli argomenti utili per difendere il figlio? – e poi ha dovuto uscire di scena.
La difesa gratuita della Bongiorno
Ma sullo sfondo di questa vicenda si intravvede persino di peggio. Non c’è solo la lente deformante dei media, che amano da sempre più i giustizialisti dei garantisti (se ne esistono ancora), perché è più facile fare un titolo a effetto; ci sono di mezzo anche la Politica e la Giustizia con le lettere maiuscole. Nella persona di Giulia Bongiorno. L’avvocato difende gli interessi della vittima del processo Grillo, e ha fatto sapere di aver assunto il patrocinio a titolo gratuito. Un impegno civile che le fa onore. Ma il quesito è inevitabile: perché tra tanti episodi di violenza sessuale ha scelto quello in cui tra gli accusati c’è il figlio di Beppe Grillo?
Di visibilità non ce n’è mai abbastanza. Anche per chi, come Giulia Bongiorno, vanta un cursus honorum ineccepibile: inizia in uno degli studi legali più autorevoli della Capitale – con Franco Coppi – nella difesa di un processo storico, quello nel quale Giulio Andreotti veniva accusato di essere un mafioso. Assolto. Poi inanella clienti famosi e facoltosi in processi tributari: Gianna Nannini, Tiziano Ferro, Ezio Greggio. Si conferma alla ribalta per il processo di Perugia, difendendo Raffaele Sollecito. Nel 2007 si occupa della separazione di Gianfranco Fini. E qui professione e impegno politico si incrociano, ma non sarà l’ultima volta.
L’avvocato che barattò l’abolizione della prescrizione
E’ proprio con An che l’anno prima, 2006, era stata candidata ed eletta in Parlamento. Poi confluisce nel Popolo della Libertà, poi ritorna al seguito di Fini, con Futuro e Libertà. Con una propria lista (Lista Bongiorno) si candida nel 2013 alla Regione Lazio. Non le va bene, non arriva al 5%. Nel giro di pochi anni cade sulla via di Bellerio. Diventa leghista, e con la Lega, è ministro nel Governo Conte 1, dove si distingue per un baratto che da avvocato non dovrebbe ostentare: per avere quota 103 (richiesta leghista) accetta l’abolizione della prescrizione (richiesta M5S). E poi, ancora tra militanza e professione, è avvocato di Matteo Salvini nel processo “Open Arms”.
La commistione – che la legge non impedisce agli avvocati, ma ai magistrati sì – tra impegno politico e attività giudiziaria induce in cattivi pensieri: possibile che il processo al Grillo jr sia stato scelto anche per la rilevanza politica della vicenda? E magari per affossare un avversario politico? Il suo grande assistito, Giulio Andreotti diceva che “a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca”. A volte.
