La richiesta di condanna per violenza sessuale nei confronti di Ciro Grillo, il figlio del fondatore del Movimento, è molto dura. 9 anni di reclusione per tutti e quattro gli imputati, con le attenuanti generiche riconosciute per la loro giovane età. Il procuratore di Tempio Pausania, Gregorio Capasso non ha dubbi: Ciro Grillo e i suoi tre amici genovesi, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, sono responsabili della violenza sessuale di gruppo ai danni di due ragazze, una studentessa italo norvegese all’epoca 19enne e una sua coetanea.

Il giallo più ampio

Uno stupro che si sarebbe consumato la notte tra il 16 e il 17 luglio del 2019 all’interno della villetta a schiera di proprietà della famiglia Grillo a Porto Cervo. Sul giallo della violenza sessuale si staglia un giallo più ampio. I cui confini lambiscono le pagine della storia. Almeno di quella degli ultimi anni. Perché nel Paese dove ogni scandalo è una questione di famiglia e ogni ribellione finisce a cena con il potere, l’estate del 2019 segna il punto di non ritorno per il Movimento 5 Stelle. Quella dei fatti di Porto Cervo è anche l’estate in cui Beppe Grillo, il comico che aveva sfidato tutto e tutti, piegò la testa. O per lo meno, la girò da un’altra parte. Il ribelle che prometteva rivoluzioni si scoprì improvvisamente mansueto, conciliante, istituzionale.

L’ascesa di Conte

Il suo pupillo Giuseppe Conte, da avvocato del popolo vestì precipitosamente i panni del garante del sistema. L’asse con la Lega di Matteo Salvini viene reciso di colpo. Il M5S salutò la sua base populista per abbracciare piuttosto sorprendentemente il Partito Democratico, dando vita al governo Conte II. E ancora oggi nulla, nel racconto ufficiale, spiega davvero questo ribaltamento fulmineo. Nulla, tranne un dettaglio: l’inchiesta a carico del figlio di Grillo. L’indagine per presunta violenza sessuale — avviata in sordina proprio in quei giorni — a carico del rampollo del fondatore del Movimento. Un caso delicatissimo, capace di azzerare anni di narrazione moralista, anticasta, giustizialista. Grillo, il giustiziere delle piazze, ora doveva difendere il figlio. E i figli, si sa, sono l’unico punto debole dei rivoluzionari. Paolo Mieli, che la storia la conosce al punto da intuirne le future pieghe, suggerisce – in una conversazione con Simone Spetia per Radio24 – che in quell’estate del 2019, a seguito di quella notte brava di Porto Cervo, il “sistema” agì. Suggerendo a Grillo – al tempo in simbiosi con Conte – di dismettere le barricate e giocare di sponda con le istituzioni. Come parve potersi desumere anche dal tenore di quel famoso video in cui Beppe Grillo, molto sopra le righe, pregava “qualcuno” di prendersela con lui, risparmiando il figlio.

Il Movimento si fermò

Sia come sia, in quelle settimane d’estate il Movimento smise di attaccare la magistratura, l’eurocrazia, la NATO. Conte, fino ad allora partner docile della Lega, diventa un interlocutore governativo affidabile per il Nazareno, cambiando rapidamente il suo atteggiamento verso il presidente Mattarella, Bruxelles e i mercati. I 5 Stelle, che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, si trasformano negli operosi magazzinieri della tonnara. Il potere non li ha abbattuti: li ha assorbiti, li ha rieducati. Con una decisione presa dal padre dei 5 Stelle in veste di padre vero, ma di Ciro Grillo. Con un riposizionamento strategico che non avviene per la prima volta: l’Italia ha una lunga memoria di padri al potere e figli scomodi che finiscono per incidere, inconsapevolmente, sulle grandi scelte politiche. Basta tornare indietro al 1980, quando Marco Donat-Cattin, figlio del ministro democristiano Carlo Donat-Cattin, viene identificato come militante di Prima Linea, uno dei gruppi armati responsabili di omicidi eccellenti, tra cui quello del giudice Alessandrini. La reazione del Viminale fu tutt’altro che trasparente. Il ministro dell’Interno di allora, Francesco Cossiga, venne accusato di aver avvisato telefonicamente al collega di partito, Donat-Cattin padre, anticipando l’imminente arresto del figlio. Che “casualmente” quella notte stessa si involò per la Francia. Mettendosi al riparo, grazie alla dottrina Mitterand. Non una leggenda: una voce insistente, mai smentita.

Il ripensamento interno

Il figlio si salva, il padre si dimette, pur rimanendo negli organi dirigenti della Dc. Per la prima forza politica italiana fu però l’occasione per un ripensamento interno: la corrente di sinistra, allora definita sinistra sociale, subì il contraccolpo. E prese il via un redde rationem che finirà per mandare in soffitta la vecchia dirigenza e premiare i giovani Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani. Anche qui, la ragion di Stato assolve tutto. E il deep state vigila, premia, corregge. E poi, andando a ritroso, c’è l’archetipo: il caso Montesi, l’originale scandalo familiare e istituzionale. È il 1953, il corpo senza vita della giovane Wilma Montesi viene trovato su una spiaggia del litorale laziale. A Torvajanica. Quel che sembrava un banale annegamento si trasforma in una bomba mediatica: circolarono voci su feste a base di sesso e droga frequentate da figli dell’alta borghesia romana. Spunta il nome di Piero Piccioni, figlio del potentissimo Attilio Piccioni, allora vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Il nome del dirigente democristiano, nell’Italia dimentica di oggi, dirà poco.

Piccioni era il successore designato di De Gasperi

Negli anni Cinquanta, Piccioni era il successore designato di De Gasperi alla guida del primo partito italiano. Era l’incarnazione del potere. Piero Piccioni verrà assolto. Ma il danno politico è fatto: Attilio Piccioni si dimette, la sua corsa alla successione di De Gasperi si interrompe. Il sistema protegge sé stesso, anche quando sacrifica pedine importanti. Piccioni padre pagò per il solo fatto di essere padre. In un’Italia che puniva l’apparenza del disonore più dei reati veri. Talvolta nel gioco della storia opera il caso, il fatto di cronaca, l’episodio inatteso che – come in ogni giallo che si rispetti – rimescola le carte. Quando non rovescia il tavolo. Qualcuno o qualcosa, sul tavolo di Grillo, prospettarono una più probabile benevolenza nel caso in cui il Movimento si fosse alleato con il centrosinistra, piuttosto che con la Lega?

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.