Lo scenario
Giorgia a Washington non solo per i dazi: il dialogo vitale con l’alleato americano

NEW YORK
Dalla sospensione dei dazi per 90 giorni, pur mantenendo una soglia del 10 per cento per tutti – Cina esclusa -, si sono rincorse molte speculazioni riguardo le motivazioni che abbiano spinto Trump, il Segretario di Stato al Tesoro e l’amministrazione repubblicana a questa scelta che ha dato respiro alle borse e ne ha consentito un balzo in positivo. La speculazione ha avuto un ruolo determinante e, qui negli USA, è già partita la richiesta dei democratici di inchiesta per insider trading nei confronti del presidente e del suo staff. Al netto della vicenda economica in sé, la sensazione è che questo up and down non finirà fino a quando la strategia della Casa Bianca non arriverà a dare i suoi frutti: ovvero ricalibrare le posizioni di forza nel mercato del trading mondiale, avendo come obiettivo primario sempre la Cina. I dazi sul dragone sono rimasti al 145% e Pechino ha annunciato che, come risposta, porterà dall’84% al 125% le tariffe sui beni americani esportati in Cina. La guerra commerciale si protrarrà ancora per molto e la business community di Wall Street ormai ne è consapevole: non sarà un periodo transitorio ma un breve-medio periodo necessario – sempre secondo l’amministrazione americana – a riequilibrare le forze e posizionamento mondiale.
I motivi di Trump
Trump vuole distruggere l’economia cinese attraverso la minaccia militare che la concorrente economica ha avuto dagli anni 2000 ad oggi. Ed è questo il motivo per cui sta aumentando i dazi e li utilizza come leva. Gli Stati Uniti, da quello che si percepisce qui, hanno anche altri due grandi problemi: alti consumi e basse entrate statali. I dazi dovrebbero mirare a risolvere entrambi i problemi per evitare il taglio della spesa pubblica o l’aumento vertiginoso delle tasse, che sarebbero un disastro elettorale per Trump. Ricordo quando durante la prima amministrazione Trump Anthony Scaramucci, all’epoca fresco ex portavoce del Presidente alla Casa Bianca, venne a Roma e alla domanda: “Cosa pensa Trump dell’Unione Europea”, rispose: “Quando Trump sente dire Unione Europea pensa solo alla Germania”. Bene, questo pensiero non è cambiato granché. L’euro, secondo i teorici repubblicani vicini al Presidente, è il pivot utilizzato dai cinesi e ha come fulcro finanziario e burocratico Bruxelles. I paesi europei potrebbero voler tassare le grandi aziende tecnologiche statunitensi, valutando altresì una cooperazione commerciale con la Cina se il dialogo con gli Stati Uniti non dovesse funzionare dopo lo stop ai dazi per 90 giorni. Posizione logica ma anche rischiosa.
Trump vuole un’Europa contro la Cina
Possiamo supporre che Trump si auspichi che l’UE cooperi contro la Cina e si metta al tavolo con gli USA per discutere il nuovo riassetto del commercio mondiale. Se questo non accadesse, la risposta più facile da prevedere sarebbe una minore sicurezza. Alcuni in Europa pensano che potremmo essere autosufficienti senza la difesa statunitense. Forse.
Altri invece non possono minimamente pensare in questi termini: i nordici e i baltici. Questi paesi non hanno dubbi: la loro sicurezza viene prima della loro prosperità, perché senza certezza di confini e difese non esistono libertà economiche e civili. Se costretti a scegliere, si schiereranno con gli Stati Uniti. Se l’UE crolla, non c’è modo di tassare le grandi aziende tecnologiche statunitensi o di cooperare sul commercio con la Cina. Il punto di caduta è difficile da prevedere. Fino a che punto l’Europa è disposta ad avere da una parte le ambizioni coloniali di due ex imperi come quello britannico e francese (in Ucraina), le ambizioni mercantilistiche di Germania e Olanda (con la Cina) e le paure per la propria incolumità degli ex paesi della cortina di ferro (come Polonia, baltici e nordici).
Più l’Unione Europea sarà ambivalente, maggiore sarà la pressione di Trump volta a costringere l’Europa a scegliere tra prosperità e sicurezza. C’è un vecchio detto che dice: quando gli alleati non piangono, non li si sta stringendo abbastanza. La Commissione Europea spera che i mercati fermino Trump prima di questa scelta cruciale. Fossi in von der Leyen non ci conterei troppo. Per questo il viaggio della presidente Meloni il prossimo 17 aprile alla Casa Bianca è fondamentale: non per negoziare sui dazi o chissà cosa, ma per tenere aperto un dialogo vitale con l’alleato americano, provare a prendere tempo e suggerire – a entrambe le sponde – una via di uscita che tenga salda questa la partnership transatlantica.
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