L’ambiente, oltre che bene comune da tutelare, è leva straordinaria di investimento e quindi sviluppo. È stato detto e scritto fino alla noia: quale miglior intervento a trazione pubblica di quello in opere utili a salvare vite umane e mettere in sicurezza il territorio? Con interventi grigi o verdi – ben venga l’armocromia – l’importante è che siano realmente adeguati, che servano, che consentano di mitigare e gestire il rischio idrogeologico. Nessuno può metterne in dubbio la priorità. E nessuno dei politici di ciascun schieramento lo ha fatto. Peraltro sarebbe politicamente sconveniente.

Per una volta che siamo tutti d’accordo, cos’è dunque che manca realmente per aiutare a governare questi rischi in parte inevitabili ma sicuramente più “mitigabili”? Manca la cosa più banale, mancano le opere, le strutture e infrastrutture, anche esse condivise quasi unanimemente. Ed al contempo, mancano persone che nei ruoli della pubblica amministrazione conoscano realmente ciò di cui si parla e che lavorino assiduamente per creare tutte le condizioni affinché si spendano i soldi che ci sono, assumendosene la responsabilità. Sono ruoli in cui talvolta occorre aggirare la melma della burocrazia del contorno, avere il coraggio di andare avanti e mettere una firma, interpretare in modo proattivo norme o regolamenti che devono essere letti innanzitutto con il buon senso volto al fare bene e veloce.

La differenza, molto più che in altri settori, sta innanzitutto nelle risposte che si riescono a dare ben prima che nelle risorse che si devono erogare. Ed occorre farlo a tutti i livelli istituzionali: come Amministrazione centrale, non solo limitandosi ad erogare denaro per poter dire “abbiamo messo soldi che mai prima d’ora…” per poi lasciar fare alla “macchina amministrativa”, composta da centinaia di uffici ministeriali, ognuno dei quali pensa solo al piccolo pezzetto di cui si occupa. Riprendere saldamente in mano il ruolo che l’Amministrazione centrale ha, non equivale a togliere autonomia, anzi. Significa far valere la propria centralità con una politica di condivisione e collaborazione non “a trazione passiva” delle richieste territoriali, bensì con un approccio proattivo fondato sulla competenza e conoscenza del territorio, da mettere a disposizione delle autonomie territoriali; significa controllare le risorse che si erogano e chiederne conto se non si rispettano i cronoprogrammi, premiando chi le date indicate le rispetta. Significa non attorcigliarsi in fantasmagoriche procedure fondate su improbabili format da compilare, e sentire di aver fatto bene il proprio dovere perché si rimandano indietro, con tanto di protocollo, evidenziandone gli errori. Basterebbe alzare il telefono, parlare con il collega regionale e risolvere il problema seduta stante.

È un equilibrio difficile da recuperare e gestire: occorre profonda conoscenza di “chi deve fare cosa” non oltrepassando titolarità che riguardano tutti i livelli istituzionali, ma che non può diventare né un’interpretazione di chi governa (se più centralista o più autonomista), né tantomeno una concorrenza di ruoli in capo a più Ministeri o strutture (Ambiente, Infrastrutture, Presidenza nei suoi diversi Dipartimenti, Strutture di Missione, Protezione Civile…). La frammentazione di iniziative delle amministrazioni centrali non coordinate e la pluralità di linee di finanziamento parziali e prive di una solida competenza di chi sta nei vari uffici dell’amministrazione centrale, ha determinato negli anni una vera anarchia istituzionale con effetto delle macchinine a scontro. Sbattono tra di loro e ne trae vantaggio chi si accomoda con uno dei due, quasi sempre in barba alle regole del gioco.

In sostanza, senza che le risposte siano di destra o di sinistra, devono avere una sola caratteristica: l’onestà intellettuale e l’efficacia. Non serve scrivere nuove norme, che quasi sempre replicano le esistenti, occorre rispettarle e farle rispettare, casomai aggiungendo o togliendo qualche comma. E non è neanche un problema di risorse economiche. Casomai ce ne sono troppe. Sì, troppe non in assoluto, ma sicuramente in relazione alla capacità di spesa che i numeri ed i report che sono nei cassetti degli uffici delle amministrazioni, dimostrano, se è vero che il livello di spesa sul dissesto dell’ultima tornata di risorse europee del 2014-2020 a fine anno si aggirava su un vergognoso dieci per cento. Ed attenzione, non di risorse spese, bensì di risorse erogate, ivi compresi le anticipazioni che possono raggiungere il 30 per cento se si ha anche solo il progetto esecutivo.

Ed allora, è doveroso riflettere sulla filiera istituzionale-amministrativa che governa il settore. Dalle Amministrazioni centrali coinvolte, ai Presidenti di Regione che dal 2014, in qualità di Commissari di Governo, hanno la titolarità dell’attuazione, far fare gli interventi e le opere che sono finanziate. In quanto tali possono agire in deroga a quasi tutte le norme, superare i vincoli burocratici delle conferenze dei servizi aperte e mai chiuse, delle lungaggini degli espropri, utilizzare tempi fortemente compressi finanche per le valutazioni di impatto ambientale; hanno contabilità speciali che consentono loro di non dover sottostare ai vincoli del bilancio ordinario; hanno la possibilità di avvalersi di risorse umane e strutture, in aggiunta al personale interno, che possono scegliere senza limiti e che sono pagati con il soldi pubblici dei quadri economici degli interventi. Se serve altro, lo si dica: un inciso in un decreto legge non si nega mai nella storia della pubblica amministrazione.

Si abbia però anche l’onestà di mettere in discussione ciò che non funziona a livello centrale e regionale, finanche ad individuare al posto dei Presidenti di regione, Commissari di Governo che possano dedicarsi solo a quest’attività. Anche perché fare il Presidente di Regione, il Commissario per il dissesto idrogeologico, il Commissario per la protezione civile, talvolta il Commissario per la sanità, quello su singoli interventi etc. non deve essere facile per una sola persona. Fare un tagliando, riconoscere ciò che non ha funzionato e porvi rimedio, è il miglior modo per rendere omaggio alle tante vittime che continuano ad esserci a causa di questo nostro fragile, quanto bellissimo, territorio.

* Segretario Generale Autorità di Bacino del Fiume Arno

Gaia Checcucci

Autore