“Con Bentivogli e Cottarelli vogliamo cambiare il Paese”, il progetto Base Italia illustrato da Luciano Floridi

Raggiungiamo il filosofo Luciano Floridi, presidente di Base Italia (www.baseitalia.net), nel Regno Unito. Floridi è ordinario di Filosofia ed etica dell’informazione presso l’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, dove è direttore del Digital Ethics Lab. Da questi lidi partirono gli strali di Mazzini verso gli eroi del Risorgimento. Durante la Resistenza da qui veniva diffusa la voce rassicurante del Colonnello Harold Stevens, Radio Londra. «E da qui riesco a occuparmi anche meglio delle questioni politiche italiane; leggo tutto, parlo con tutti. Sto ad Oxford, sì. Ma da qui capisco meglio anche il populismo».

Partiamo dal suo approccio epistemologico. Filosofia, scienza ed etica possono risolvere il loro conflitto?
Nel nostro tempo pensiero e metodo scientifico devono andare insieme. Guardando al sapere umano non c’è nulla che l’umanesimo contemporaneo e l’umanistica digitale non comprendano al meglio: il rispetto tra le discipline e il superamento dei vecchi steccati è alla base, per me, di un pensiero libero dalla superbia.

Un esempio concreto?
La sostenibilità deve incontrare un modello di business vincente.

La società dell’informazione offre nuovi strumenti di comprensione della realtà. Anche su questo si può risolvere il conflitto?
Superiamo i falsi conflitti per scavalcare le dicotomie e le polarizzazioni, altrimenti non capiremo quali sono i veri problemi. Ad esempio, come si ripensa oggi la democrazia, in un contesto di infosfera, “onlife”, cioè analogico e digitale mescolati? È un problema serio, con tensioni importanti che però noi non avviciniamo perché oggi il dibattito è troppo spesso incagliato su falsi problemi.

In termini costruttivi?
L’Italia oggi è un laboratorio molto interessante che può diventare molto fruttuoso se troviamo delle soluzioni buone. Abbiamo sempre anticipato i problemi per primi. Vorrei che anticipassimo le soluzioni.

Esiste un’overdose di informazione, che rischia di inquinare, deformare la realtà?
Esiste l’overdose ed esiste la deformazione, ma sono due cose diverse. Oggi passano sotto gli occhi tante informazioni, e per chi non sa navigare, non sa scegliere, si crea confusione. C’è però un problema separato, quello dell’inquinamento. È come se ci fosse un grande buffet, al quale ci si abbuffa perché c’è tantissimo cibo. E il problema non sta lì, sta nel fatto che nel tanto cibo si nasconde un piatto avariato. Il problema non è la quantità ma la qualità. Servirebbero due cose: a monte, il cambio del modello di business, che sembra fatto apposta per veicolare tanta informazione avariata, e a valle la responsabilità di chi questa informazione la veicola.

Fake news.
Quello che mi preoccupa è come si mescolano alle buone notizie. Tornare a separarle e cauterizzare le fake news, si può fare. Sappiamo che esistono dei centri di produzione, che negli Stati Uniti sono una mezza dozzina. Li si può individuare e isolare. Sono stanco di sentir dire che è un problema tecnico o peggio, che è un problema etico perché si andrebbe a toccare la libertà delle persone. È arrivato il momento di agire.

Invoca l’intervento del legislatore?
Ci vuole un intervento coordinato: il legislatore insieme con chi queste cose le produce e con chi le consuma. Al tavolo il legislatore deve invitare tutti i cosiddetti stakeholders a partecipare. Il legislatore può e deve agire. Eventualmente, poi, anche sanzionando. Ma non dobbiamo aspettare le multe di Bruxelles, il modo di procedere deve essere di confronto tra policy e politics. Il punto finale, la sanzione, è l’extrema ratio. Vuol dire che non si è generato un percorso virtuoso. Una politica che funziona mette al riparo dal commettere errori, e permette di non incorrere in sanzioni.

Evocare la punizione, anche verso l’avversario politico, è la tentazione del populismo giudiziario. Un problema che vede anche dal suo osservatorio?
Il problema lo vedo, ma vedo anche la necessità di rileggere il populismo.

In che modo?
Quando ero ragazzo si diceva che il colesterolo doveva stare a zero. E che l’inflazione doveva essere a zero.
Due problemi da azzerare. Poi si è capito che esiste anche il colesterolo buono, e che un tasso pur basso di colesterolo deve essere presente. E si è capito il rischio della deflazione, cioè l’importanza di avere un minimo di inflazione, diciamo al 2%.

Dove vuole arrivare?
Un 2% di populismo fa bene. Bisogna saper ascoltare di più la gente, anche la pancia. Capire quali sono le tensioni, le pulsioni, le paure e saperci dialogare. Un pizzico di sale sulla carne ci vuole, troppo sale avvelena. Troppo populismo avvelena, ma un pizzico fa la buona politica. Se si ascoltano di più le persone si intuiscono prima i problemi. E noi dobbiamo ricominciare a vedere i problemi prima di saper dare soluzioni.

Sente troppi slogan, nella politica italiana.
Slogan pronti per tutti gli usi, soluzioni standard, spesso annunciate prima di aver approfondito il problema.

La sfiducia diffusa verso le élites riguarda anche il sapere. Incluse le autorità scientifiche, oltre che politiche.
Scilla e Cariddi. Scilla è la frammentazione politica e la non credibilità dei partiti, Cariddi è lo scetticismo cinico della società civile che si riflette su tutto. Se mettiamo Scilla e Cariddi insieme, la navigazione non è facile. Dobbiamo saper attraversare un percorso difficile, schivando gli scogli.

Con il problema che Ulisse oggi non lo abbiamo. Lo vede un problema di leadership?
Oggi vedrei bene una leadership diffusa, distribuita, con gruppi di competenti che fanno leadership. Ma andare tutti dietro a un pifferaio magico, no grazie. E per questo con Marco Bentivogli siamo per una riforma della politica che valorizzi gruppi di persone competenti e non più, non solo i partiti.

È finita la stagione dei pifferai magici?
Sta finendo. È arrivata al suo declino, anche se continua a fare presa. Il leaderismo dei solisti ha stancato. La gente sta capendo che non abbiamo bisogno di un tenore, ma di un grande coro.

Da filosofo ha scelto di sporcarsi le mani e presiedere Base Italia. Che cos’è?
Non è un partito. È un catalizzatore, un aggregatore. Un motore che trova le energie già presenti e aiuta a organizzarle, senza pretendere di soppiantare partiti, movimenti, sindacati.

Per la Costituzione sono i partiti a organizzare il consenso, aggregando i cittadini per indirizzare la politica.
Se la politica deve cambiare, deve cambiare questo meccanismo. Troviamo chi queste cose le fa meglio. Perché quel che fanno oggi i partiti non va bene, non va più bene. O li riformiamo o troviamo il modo di aggregare le competenze su basi diverse.
Il partito come lo abbiamo inteso nel Novecento non ha più senso, e non hanno più senso gli schematismi del passato.
Se riuscissimo a trovare una terminologia migliore per sganciarci da sinistra, centro e destra, saremmo finalmente nel nuovo secolo. Se guardiamo alla campagna elettorale americana è impressionante come una visione estrema del bipolarismo abbia spaccato la società.

Ci vuole una start up della politica che riaggreghi le teste.
È su questa idea che ci siamo trovati con Marco Bentivogli e con Carlo Cottarelli, con cui stiamo costruendo questo nostro soggetto. Vogliamo migliorare la politica ripartendo dalle idee e dalla fiducia nella competenza.