Sin dall’inizio della crisi, numerosi economisti hanno presentato proposte progettuali finalizzate al finanziamento per il maggior deficit e il maggior debito necessari per sostenere le economie dei vari paesi membri dell’Unione europea e dell’Eurozona colpite dalla pandemia. La proposta che più ha sollevato dibattito sulla stampa è stata quella lanciata dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti, dalle pagine del Corriere della Sera, dove si proponeva l’emissione di bond irredimibili, a scadenza illimitata e a basso tasso d’interesse. Una soluzione avallata anche dall’ex rettore dell’Università Bocconi Guido Tabellini, il quale, in un articolo scritto su Il Foglio, sosteneva che l’emissione di semplici Eurobond da parte di istituzioni europee quali il Mes o altre avrebbe creato dei problemi proprio ai debiti pubblici nazionali, in quanto si sarebbe trattato di titoli “senior”, ovvero a rimborso privilegiato, che avrebbero spiazzato i titoli di Stato nazionali, che sarebbero divenuti automaticamente di livello “junior”, quindi subordinati al pagamento degli altri e quindi più rischiosi.

Problema che, secondo Tabellini, in una ipotesi avallata anche dagli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, verrebbe meno proprio attraverso l’emissione di bond irredimibili. Anche l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, in una lettera pubblicata sul Corriere della Sera, ha proposto l’emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza, con rendimenti moderati, ma sicuri e fissi, emissione garantita dal sottostante patrimonio della Repubblica, titoli “esenti da ogni imposta presente e futura”. Nel frattempo, a livello europeo, sono fiorite proposte di vario tipo, favorevoli all’emissione di strumenti finanziari su misura per specifici progetti, con maturity e size di vario ammontare. Il problema di queste soluzioni di natura “europea” rimane però sempre lo stesso.

Qualsiasi bond emesso da un veicolo finanziario di natura sovranazionale, come appunto il Mes o la Bei, rientrerebbe nella categoria dei titoli privilegiati in termini di rimborso, e quindi diventerebbe automaticamente un concorrente dei titoli di debito nazionali, che verrebbero visti, soprattutto dai grandi investitori internazionali (banche d’affari soprattutto), come titoli di serie B. La conseguenza sarebbe quella che le sopracitate banche d’affari sarebbero disposte ad acquistare i titoli nazionali, soprattutto degli Stati più in difficoltà, solo a rendimenti superiori a quelli attuali, in quando attribuirebbero loro un rischio maggiore.

L’alternativa, come suggerito da Carlo Cottarelli su Milano Finanza, è quella che ogni Stato proceda da solo, attraverso proprie emissioni nazionali necessarie a coprire tutto il fabbisogno finanziario del proprio Paese, ma sfruttando la garanzia della Banca Centrale Europea fornita dal suo Quantitative Easing da 750 miliardi di euro (e oltre). È questa una soluzione in grado di permettere il trasferimento della maggior liquidità immessa dalla Bce sui mercati all’economia reale, trasmissione che, lo ricordiamo, è il principale obiettivo che il programma QE intende raggiungere. Da questo punto di vista, anche se la Bce non può acquistare direttamente sul mercato primario, la possibilità per gli investitori di vendere ad essa sul secondario, è sufficiente per tenere relativamente sotto controllo i rendimenti dei bond nazionali.

La condizione necessaria, però, è che la quantità dei titoli acquistabili dalla Bce superi quella emessa dai “Tesori” europei nel loro insieme. Ovvero, che la domanda della Bce sia sempre maggiore dell’offerta. Una semplice regola di mercato. Se questa fosse verificata, come attualmente è, basterebbe che i “Tesori” europei si coordinassero per un piano condiviso di emissioni a tassi di rendimento accettabili, ancorché differenziati per i singoli Paesi, ma grazie alla garanzia della Bce assolutamente sopportabili.