La vera emergenza
La vera emergenza è quella economica, bisogna pensare oggi a come ripartire

Un tempo si chiamava politica economica. Lo studio dei provvedimenti dei poteri pubblici e dei soggetti privati e gli effetti che questi producono sull’economia allo scopo di elaborare interventi specifici per modificare l’andamento del sistema a livello macroeconomico. Poi l’avvento delle politiche neoliberiste insieme alla globalizzazione finanziaria hanno messo da parte questa disciplina con l’idea che il mercato dovesse essere lasciato libero di operare in completa autonomia salvo poi, a ogni difficoltà, richiedere l’intervento dello Stato.
All’improvviso arriva la pandemia e tutto cambia. Il crollo dell’economia reale si attesta sul 20% e triplicherà, nel giro di un anno, i livelli di disoccupazione. E allora i tabù più radicati in un ciclo di quarant’anni cadono come birilli e si annunciano piogge di miliardi in tutto il mondo. Gli Stati Uniti lanciano un piano di sostegno da 2000 miliardi di dollari. Il “Cura Italia”, nel solo mese di marzo, prevede 25 miliardi di euro annunciandone altri 25 ad aprile per sistema sanitario, cassa integrazione, congedo parentale, bonus vari e liquidità per le imprese. La Germania mette in campo 156 miliardi, 45 la Francia, 200 la Spagna. Ma, non è che l’inizio.
L’immissione di liquidità è certamente una necessità improntata all’urgenza ma non basta. È necessario iniziare a ragionare in termini di politica economica avendo presente che l’obbligo e l’opportunità di ripensare l’intero sistema economico e industriale nasce qui ed ora. Il blocco della struttura del sistema produttivo italiano – turismo, moda, manifatturiero, siderurgia, sistema bancario – ne rende evidenti i limiti mentre interi settori pubblici, a cominciare dalla sanità e dalla scuola che in questa crisi sono i più esposti, stanno mostrando elementi di forza ma anche tanti limiti. Sono necessarie idee forti che trasformeranno inevitabilmente gli equilibri e i mercati. Idee in grado di realizzare una nuova economia basata su una crescita sostenibile, solidale e inclusiva.
La sostenibilità, dichiarata nell’agenda politica delle grandi organizzazioni internazionali, è stata assente nelle scelte politiche che spesso sono andate in tutt’altra direzione, alcune volte, anche in senso contrario. Quel tema torna ora prepotentemente d’attualità e può rappresentare la chiave di lettura del prossimo futuro. È necessario cambiare passo e prospettiva e non è possibile il rinvio ad un secondo tempo. Servono idee specifiche che si inseriscano in un progetto globale di trasformazione dell’economia tanto ambizioso quanto necessario partendo dall’accettazione del carattere estremamente fragile del modello di sviluppo che abbiamo, fin qui, conosciuto.
Un esame decisivo anche per l’Unione Europea il cui superamento gli consentirebbe di non perdere definitivamente quel po’ della credibilità rimasta. L’impegno finanziario richiesto è importante ma non impossibile e per essere efficace dovrebbe raggiungere il 10% del bilancio Ue, pari a circa lo 0,8% del Pil dei Paesi dell’Eurozona. Si dovranno garantire tutti gli spazi di flessibilità necessari scorporando, ad esempio, dal calcolo del deficit le risorse per investimenti volti a gestire l’emergenza, per poi essere in grado di rilanciare l’economia.
Si potrebbe accedere al Fondo di solidarietà dell’Ue, nato proprio per rispondere alle calamità fornendo diretto sostegno ai territori colpiti. Probabilmente non sarà sufficiente: la Commissione e la BCE dovranno accettare gli Eurobond e, ancor prima, in ambito bancario e finanziario, l’Unione Bancaria dovrà, tra gli altri provvedimenti, provvedere all’allentamento dei vincoli di Basilea – requisiti patrimoniali e di solvibilità – per consentire alle banche di sostenere le Pmi ed evitare, in questo modo, la chiusura di una moltitudine di aziende nell’industria di base e nell’artigianato, nel commercio e nel turismo, per renderne possibile il rilancio di domani. Non c’è tempo, non è possibile aspettare. «Siamo in guerra, se esitiamo i costi saranno irreversibili», ha ragione Mario Draghi.
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