Si dice che quando si riesce a superare una situazione critica ci si fortifichi e si sia pronti ad affrontare quella successiva con maggior solidità e consapevolezza. Quando sembrava che fossimo a un passo dall’uscita dalla crisi economico-finanziaria più pesante che la storia moderna abbia mai conosciuto, quando eravamo in attesa di una ormai prossima ripresa economica seppur stentata e, di volta in volta, rinviata, ci ritroviamo improvvisamente proiettati in una nuova e drammatica crisi dalle dimensioni e dalla durata, a oggi del tutto imprevedibili. Molte sono le considerazioni, e di diverso segno, che si potrebbero azzardare sui limiti, sempre più evidenti, della moderna globalizzazione. Sicuramente sarà utile porre la lente di ingrandimento sul sistema bancario e analizzare in esso il ruolo svolto dal Credito popolare in Italia nella crisi precedente.

Partiamo da una certezza. Nell’ultimo decennio le Banche popolari hanno rappresentato un punto di riferimento importante per il tessuto produttivo del Paese. Questa affermazione è il risultato che emerge dall’analisi dei dati relativamente agli impieghi per il periodo che intercorre tra la fine del 2008 e la fine del 2018 ed è il frutto del radicamento territoriale della prossimità e della capacità sviluppata nel tempo di promuovere efficacemente l’attività di intermediazione a livello locale. In questi dieci anni gli impieghi delle Banche popolari e del territorio sono cresciuti complessivamente del 12,2% contro un dato medio nazionale dell’intero sistema bancario pressoché stazionario (-0,1%). Una differenza ampia, dunque, attraverso la quale è possibile sottolineare, ancora una volta, come il contributo delle banche del territorio sia stato essenziale per la sopravvivenza del tessuto economico e delle piccole e medie imprese nelle fasi più difficili della crisi economica.

Scendendo più nel dettaglio, dall’analisi dei dati delle Banche popolari e del territorio a livello provinciale emerge come, salvo pochissime province, nella maggior parte dei casi le variazioni registrate sono state di crescita o di forte crescita. Il contributo delle Popolari per il sistema produttivo e imprenditoriale è stato ampio e diffuso su buona parte della penisola interessando moltissime realtà economiche locali. È, dunque possibile affermare, dati alla mano, che gli effetti della crisi sarebbero stati di gran lunga peggiori senza il contributo di banche dedite in prevalenza al sostegno dell’economia reale. Una constatazione che si può riscontrare, in misura indiretta, anche dai dati della Banca d’Italia pubblicati annualmente nell’appendice alla Relazione in cui viene confrontato il peso dei crediti a clientela sul totale dell’attivo per le Popolari con il dato analogo per le banche SpA.

Tra il 2012 e il 2016, per il Credito popolare, tale rapporto oscilla tra il 70% e il 65% contro il 60% delle banche SpA. Se le banche del Credito popolare si fossero comportate come le banche SpA (ovvero non fossero state Popolari ma SpA) ci sarebbe stato meno credito alla clientela per circa 50 miliardi di euro nel 2012 e nel 2013 e per 30 miliardi di euro nel 2014 e nel 2015. Il Credito popolare ha fornito ogni anno un contributo di risorse che non si sarebbero rese disponibili qualora il modello fosse stato strutturato unicamente sulle S.p.A. È facile immaginare che ne sarebbe stato dell’economia reale senza queste risorse.

Una cosa, dunque, la crisi precedente ha insegnato: preservare quella biodiversità bancaria che fino a oggi ha permesso all’economia del Paese di poter reagire agli shock e alle avversità del ciclo economico e che, invece, rischia di vedere ridotta la propria capacità di sostegno all’economia reale se dovesse prevalere quel processo europeo di consolidamento bancario che tende ad uniformare gli istituti. Uniformità che, come dimostrano proprio i dati di Banca d’Italia, il nostro sistema economico, fatto di piccole e medie imprese, subirebbe ben più di altri paesi con un costo difficilmente sostenibile: un rischio che è meglio non correre.