«La sospensione del Patto di Stabilità è un passo nella giusta direzione, anche se sarebbe dovuto avvenire già da tempo, ma guai a illudersi che da solo possa far fronte alla grande recessione a cui andiamo incontro. Per troppo tempo abbiamo sentito sostenere, sciaguratamente, che lo Stato non deve più occuparsi dell’economia, ma senza Stato abbiamo delle catastrofi, perché il mercato non è capace di gestire questi problemi».

A sostenerlo, in questa intervista è uno dei più autorevoli economisti europei: Jean-Paul Fitoussi, Professore emerito al’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma. È attualmente direttore di ricerca al’Observatoire francois des conjonctures economiques, istituto di ricerca economica e previsione, autore di numerosi saggi, l’ultimo dei quali è Il teorema del lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale (Einaudi).

Al tempo del Coronavirus, si sente dire e scrivere che nulla sarà più come prima. Professor Fitoussi, siamo alle soglie di un “nuovo mondo”?
Quanto bla bla ci tocca sentire in questa drammatica emergenza… C’è chi si avventura a disegnare il “nuovo mondo”, quando non sappiamo nemmeno quanto durerà questa crisi sanitaria. Non sappiamo se avrà una fase definitiva o se ritornerà ogni anno come l’influenza. E ancora: non sappiamo se la gestione della crisi, sanitaria ed economica, non sarà troppo vincolata come è avvenuto fino ad oggi. Mi lasci aggiungere che oggi, comunque, la priorità assoluta è risolvere la crisi sanitaria, assumendo le misure che servono e mettendo i soldi necessari.

A cosa si riferisce quando parla di un eccesso di vincoli?
A Bruxelles hanno deciso di mettere tra parentesi il Patto di Stabilità. Potevano e dovevano farlo già da tempo, ma come si dice in questi casi, meglio tardi che mai. Ma guai a illudersi che questa misura possa bastare per far fronte alla grande recessione a cui stiamo andando incontro. E a fronteggiarla non basterà neanche la cancellazione, cosa che peraltro mi auguro, del Patto di Stabilità….

Torna ad aleggiare lo spettro dello spread…
Non è per il Patto di Stabilità che lo spread è aumentato. È aumentato per la sfiducia diffusa verso la capacità degli Stati di ripagare il debito, soprattutto se il tasso d’interesse è alto. Per il momento abbiamo una bella politica monetaria – l’eredità di Mario Draghi non è andata perduta -. La linea da perseguire è quella di mettere la liquidità necessaria anche se questo vuol dire abbattere il totem dell’iper-rigorismo che ha segnato il ciclo neoliberista che ha provocato nuove faglie sociali e un blocco di una politica di crescita. E qui ritorno su un punto che ritengo davvero cruciale: non è solo eliminando il Patto di Stabilità e mettendo da parte della Bce un gettito finanziario straordinario per l’emergenza Coronavirus che si risolverà il problema dello spread.

Qual è la misura che lei ritiene davvero di svolta, professor Fitoussi?
Il problema dello spread verrà risolto solamente se si creano gli Eurobond, un titolo unico sul debito dei Paesi della zona euro. Allora sì che si potrà rimediare agli errori che ci hanno portato a dove siamo oggi. Mi riferisco, solo per fare alcuni esempi, alla mancanza di investimenti nel sistema sanitario pubblico, alla mancanza di investimenti nel sistema educativo, e più in generale alla mancanza di investimenti in un settore cruciale per qualsiasi politica di crescita, qual è quello delle infrastrutture che servono a tutti. Basta con il mantra, che ha guidato le politiche di iper austerità, che lo Stato non deve più occuparsi dell’economia . Ma senza Stato abbiamo delle catastrofi, perché il mercato non è capace di gestire questi problemi. Anche la teoria del liberalismo lo dice…

Ciò vuol dire, come ha sostenuto Fausto Bertinotti in un articolo per il Riformista, che il mondo, e in esso l’Europa, ai tempi del Coronavirus deve riscoprire Keynes?
Per la verità, Keynes è stato riscoperto da un sacco di tempo in tutto il mondo ma non in Europa – In America, ad esempio, con piani di rilancio enormi, così come in Cina. Solamente in Europa siamo ancora dominati dall’ossessione della compatibilità di bilancio, del debito pubblico. L’America, il Giappone, del tabù-debito non sono prigionieri, quello che è importante è l’economia reale. È la società, non la contabilità. Non si tratta più di allargare i cordoni della spesa pubblica, di fare i conti fino in fondo sui disastri sociali determinati dall’iper austerità. Io credo che l’Europa debba pensare, ed agire, in termini “neo keynesiani”. Nel senso di non considerare un “delitto” l’intervento del pubblico nei settori strategici dello sviluppo economico e sociale. E questo vale a livello europeo ma anche dei singoli Stati. Oggi, anche alla luce della crisi sanitaria, ci accorgiamo, sgomenti, che i servizi e i settori pubblici più importanti, quelli che hanno a che fare con la vita della gente, sono in uno stato di povertà assoluta. Pensiamo all’istruzione, alla sanità, ma anche alla sicurezza, all’esercito, alle forze dell’ordine, così come allo stato, spesso pietoso, delle infrastrutture. L’Europa non può dire: non ci sono i soldi. Questa giustificazione non regge più. Puntare, anche attraverso l’intervento pubblico, su questi settori strategici è investire sul futuro, e lo è anche se questo significa, nel presente, allargare i vincoli di bilancio. Non farlo, significa condannarsi non solo alla marginalità nella competizione internazionale ma favorire le spinte sovraniste nazionali. Oggi come non mai c’è bisogno di agire come “Stati-imprenditori” se si vuole ricreare fiducia tra i privati e aumentare la domanda interna ai Paesi europei; una domanda che la “recessione da Coronavirus”, potrebbe ferire mortalmente. I privati non investono non solo perché non c’è domanda sufficiente ma anche perché non hanno fiducia. Si chiedono: perché devo rischiare io se lo Stato non lo fa? C’è un grande bisogno di investimenti pubblici in settori strategici come l’istruzione, le infrastrutture, la nuova economia, la ricerca. Siamo davvero ad un passaggio cruciale: se i governi non si muovono, questo significherà che siamo condannati a restare prigionieri della paura della deflazione, e allora addio alla crescita. So che è difficile, ma dovremmo vivere questo momento di grande emergenza non come una minaccia, ma anche come una formidabile opportunità che si apre di fronte a noi per costruire, davvero un mondo nuovo.

Professor Fitoussi, lei è anche un profondo conoscitore della realtà italiana. In precedenza, ha fatto riferimento a Mario Draghi. C’è chi lo vede come il salvatore della patria italiana…
Stimo tantissimo Mario Draghi, ma no, non credo che oggi si debba andare alla ricerca di figure salvifiche che non esistono. Quello di cui c’è bisogno, davvero vitale, è di politici seri, preparati, che abbiano idee chiare in testa e la determinazione necessaria a realizzarle. In questa ottica, ritengo che il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, abbia fatto bene a rifiutare la bozza di conclusioni del Consiglio europeo di ieri (mercoledì per chi legge, ndr). Quanto a Draghi, sarebbe una “star” in qualsiasi governo, francese, spagnolo, americano… Ma soprattutto lui sì che sarebbe un buon “Capo” dell’Europa”.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.