Arrivano pacchi pieni di mascherine e altri dispositivi di protezione, ma chi lavora in ospedale è ancora a rischio contagio per mancanza di protezioni. Con una lettera l’Anaao Assomed ricorda al governatore De Luca ricorda cosa manca per assistere i contagiati dal Coronavirus senza problemi: “Non sono stati stoccati i dispositivi di protezione individuale, mancano o sono errati i percorsi separati e distinti negli ospedali per pazienti a rischio Covid, percorsi carenti nel 50 per cento delle strutture; bisogna individuare ospedali Covid con tac e terapie intensive e sub intensive autonome privi di gestioni promiscue dei malati”.

Servono tamponi per il personale ospedaliero e locali per il loro isolamento familiare. In piena pandemia servirebbero dei Covid Hospital, ipotesi che ripropone la disponibilità dell’Aiop Campania, pronta a mettere a disposizione della Regione tremila posti di medicina, chirurgia e riabilitazione per pazienti No–Covid. “Gli ospedali potrebbero trasferire nella case di cura i pazienti No–Covid e organizzare reparti per i contagiati dal Coronavirus”, ha spiegato il presidente Sergio Crispino.

Intanto l’Azienda dei Colli pensa di includere il Cto tra le strutture che assistono contagiati da Coronavirus rischiando di trasformarlo in un “focolaio” di infezioni. Ieri il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha consegnato mascherine ai medici di medicina generale mentre Silvestro Scotti, presidente dell’Ordine dei medici, commenta il caso dei quattro giovani rianimatori che hanno rifiutato, perché economicamente poco conveniente, l’assunzione a termine proposta dall’Asl cittadina: “Chiediamo massimo impegno deontologico e di assistenza ai nostri iscritti anche se può prevedere i massimi sacrifici. Ma non possiamo accettare che i medici non siano adeguatamente protetti”.

Poi la replica al manager dell’Asl Napoli 1 che ha criticato l’indisponibilità dei giovani medici. “Certe affermazioni danneggiano la nostra categoria e potrebbero aizzare la popolazione verso i medici dipinti tutti come mercenari, in una generalizzazione che li vede a lavoro per lucro e non per dedizione alla professione”.