L'editoriale
Merkel, von der Leyen e Lagarde: la troika al femminile guida l’Europa ma non è all’altezza
I destini dei 500 milioni di cittadini europei oggi sono nelle mani di tre donne, lo avevate notato? Merkel, Lagarde, von der Leyen. Urge pertanto una riflessione sul femminile alle prese con ruoli di enorme potere politico in tempi globali. È impopolare criticare le donne oggi, dato che l’immaginario le vuole a tutti i costi trattare come minoranza da tutelare. Ma forse per una donna criticare l’operato delle sue simili è ancora possibile, e allora mi azzardo.
Ho detto che sono in tre a dominare oggi il nostro futuro, la vera troika europea, ma la realtà è che si tratta di una sola, Angela Merkel, dato che le altre due, von der Leyen (tedesca) e Lagarde (francese) devono il loro ruolo ad Angela, da Angela sono controllate e ad Angela fanno riferimento. La Merkel ha fatto bene a sceglierle, perché fin qui le donne di grande potere hanno dimostrato – salvo poche eccezioni, mi viene in mente la Thatcher – di saper essere più zelanti degli uomini nell’obbedire al proprio dante causa. Per le donne, infatti, spesso il potere coincide con il ruolo che hanno, anziché con il contenuto e le potenzialità che esso consente.
Dopo l’esperienza di Draghi a capo della Bce, che mai – per inciso – si sarebbe fatto sfuggire una gaffe sullo spread come quella sfuggita alla Lagard, ci stiamo accorgendo di cosa significhi avere o non avere una persona autorevole e libera al comando di funzioni chiave. E se non siamo ancora arrivati a rimpiangere Juncker e Prodi (sic!) alla guida della Commissione Europea è solo questione di tempo. La impeccabile e gelida von der Leyen sembra più intenta a non sbagliare che ad esercitare le prerogative che il suo ruolo di capo dell’esecutivo europeo gli consentirebbero nel momento più apocalittico della storia recente.
E per questo, sbaglia, dato che il potere è un bicchiere che va colmato: pochi giorni fa ha fatto un’apertura rispetto ai coronabond chiesti da Italia, Francia, Spagna ed altri paesi salvo poi, due giorni dopo, rimangiarsi quell’apertura. Perché ha cambiato la sua opinione? Per un profondo convincimento, o perché non è piaciuta alla Germania? Aveva una sua opinione a guidarla o un “dettato” da pronunciare? E qui veniamo alla zarina d’Europa, Angela. È un giudizio pesante, ma oramai condiviso da molti: se la costruzione dell’unificazione europea avviata nel dopoguerra da De Gasperi, Schuman e Adenauer ha subito una battuta d’arresto, molte sono le responsabilità di Angela, sicuramente un’abile politica, ma lontana anni luce dalla capacità di visione del suo “mentore”, Helmut Kohl, e anche dalla sua generosità.
Persino di fronte alla pandemia che sta piegando ogni prospettiva di benessere in Europa, e che ci rende tutti uguali, Angela continua a privilegiare una condotta egoista e divisiva e sancisce il suo nicht ai coronabond, pensando di fare così gli interessi del suo popolo. Ma dovrebbe ricordarsi che quel popolo non esisterebbe nella forma e nella forza di oggi se non ci fossero stati atti di generosità nei suoi confronti, come quello, ad esempio, di dimezzargli i debiti di guerra. La generosità è una categoria della politica, come ci ha insegnato ieri con poche semplici parole (invito ad andare a vedere il suo video) il premier albanese Rama, il quale ha annunciato di aver inviato 30 medici qui da noi, a supporto dei nostri, ricordando quanto la generosità dell’Italia nei confronti del popolo albanese abbia cementato un rapporto di fratellanza che nei momenti più difficili non solo non si dissolve, ma si fa ancora più forte. Ma Rama è un uomo.
E se anche non vogliamo scomodare la dimensione della generosità, basterebbe restare nella razionalità del calcolo, che ci dice che la prima ad essere penalizzata dal crollo del sistema europeo sarebbe proprio la Germania. Perché dunque questa assenza di generosità? Perché questo rigore, anche nell’aspetto fisico delle tre donne? Perché ogni volta che vedo una donna di potere e la ascolto attentamente non riesco a togliermi da dosso la sensazione che sia più interessata a recitare un copione che ad entrare nel vivo della realtà da modificare? Essendo donna, ed avendo avuto la possibilità nella vita di esercitare forme di potere “storico”, seppur naturalmente infinitesimali rispetto alla troika europea, non sono stata esente da queste modalità, e me ne sono sempre chiesta la ragione. Perché siamo ottime esecutrici e raramente ci addentriamo nel più complesso terreno dell’autonomia creatrice?
È chiaro che antropologicamente siamo delle conservatrici, non ripercorrerò la distinzione fra l’uomo cacciatore che affronta i pericoli esterni e la donna che si occupa dei figli e del rifugio, ma è evidente che l’imperativo sociale per noi, fin dalle origini, è sempre stato quello della ricerca di sicurezza, ed effetto storico quello, conseguente, di affidarci ad altre mani per garantircelo. Ma oggi, che dopo battaglie generazionali sacrosante, avremmo la possibilità di affidarci solo a noi stesse, è come se non avessimo la capacità di farlo fino in fondo. Fatichiamo ancora ad immaginarci del tutto indipendenti perché l’indipendenza impone una presa di responsabilità che non ci è familiare. Sappiamo essere creatrici della vita ma non abbiamo ancora scelto di essere creatrici della storia.
A livello individuale, questo può creare frustrazioni di ogni tipo, che riversiamo nella dimensione che conosciamo meglio, quella del privato. Oggi siamo autonome economicamente, colte, disponiamo di libertà che sarebbero state inimmaginabili poche decine di anni fa. Eppure ancora non riusciamo a fare il salto di qualità interiore che ci renda davvero padrone di noi stesse. E questo determina ricadute enormi quando parliamo di donne che assumono responsabilità pubbliche senza aver fatto questo salto, e dunque si trovano obbligate a riprodurre il solito modello: per la mia sicurezza devo affidarmi a qualcuno che me la garantisca. Normalmente è un uomo. Per la Lagarde e la von der Leyen è una donna, ma anche la Merkel ha il suo dante causa.
Si potrebbe pensare al popolo tedesco, ma la realtà storica ci insegna che la Germania è dal dopoguerra in poi l’enclave della politica americana dentro quella europea. L’Europa dunque è femmina e non è libera, e per uscire da questa schiavitù, per di più in tempi di pandemia, c’è bisogno di un coraggio, di una visione del futuro che le donne ancora non hanno, perché il loro patrimonio genetico le richiama a chiudersi nella sicurezza delle radici e dell’ambiente noto. Confido che le donne di potere riescano un giorno a trascendere la loro natura, ma fino ad allora, oltre ogni ipocrisia, è giusto ammettere che per crisi come quella che stiamo vivendo occorre una leadership capace di immaginare il futuro e di avventurarsi nell’ignoto, una leadership maschile.
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