Linciata e poi beffata
Storia di Ilaria Capua, la virologa messa alla gogna da pm e giornali
Sapete chi è Ilaria Capua, no? In questi giorni si parla molto di lei perché è considerata, nel mondo, la più importante virologa italiana. Mario Monti la volle con sé in Parlamento e lei fu eletta alle elezioni del 2013. Ieri ha rilasciato una lunga intervista all’Ansa nella quale ci spiega per filo e per segno come funziona questo dannato virus, da dove è partito, in quanti ceppi diversi si presenta, per quali porte è entrato in Europa e in America, e ci ha anche tranquillizzato sul fatto che gli untori non siamo noi italiani.
Oggi Ilaria Capua vive in Florida, dove è direttrice di un dipartimento universitario. Un giornale scientifico degli Stati Uniti l’ha messa nell’elenco dei 50 studiosi al top della scienza mondiale. Probabilmente, nel campo della virologia, è la numero uno in Europa.
Qualcuno potrebbe chiedersi: perché è andata via dall’Italia, dove, oltretutto, era deputata? Per una ragione semplice: è caduta vittima di un linciaggio giornalistico-giudiziario, qualcuno potrebbe pensare persino che si sia trattato di un complotto, comunque è stata una congiura infame. È finita indagata per reati che avrebbero potuto portarla all’ergastolo, è stata riempita di fango fino al collo e ancora di più, è stata costretta a dimettersi dal Parlamento, la sua reputazione è stata fatta a pezzettini piccoli piccoli, e quando finalmente ha ottenuto giustizia in tribunale (ma solo parziale e comunque non sulla stampa) è voluta andare a vivere a ottomila chilometri dall’Italia. Credo, disgustata.
La storia è semplice, e dimostra che esistono pezzi di magistratura e di giornalismo che prosperano del tutto privi di qualunque norma di correttezza (non parliamo nemmeno di etica) e che possono rovinare la vita a chiunque di noi senza doverne rendere conto a nessuno. Questo è il punto vero: senza doverne rendere conto a nessuno. C’è un pezzo di magistratura e un pezzo di giornalismo (quello che accetta di vivere in subalternità con la magistratura e al suo servizio) che dispongono di totale impunità. Avete presente quelli che dicono sempre che la legge deve essere uguale per tutti? Beh, in genere sono proprio quelli che invece dispongono del salvacondotto che li pone al di sopra di tutte le regole.
Ecco in poche righe la storia del linciaggio della Capua. Nel 2010 la polizia avvia un’indagine su di lei. I reati che si ipotizzano sono spaventosi: non solo corruzione ma addirittura “diffusione di epidemia” (cioè, in pratica, di tentata strage), reato che prevede il carcere a vita. L’ipotesi della polizia è che la professoressa, d’intesa con alcune case farmaceutiche e pagata da loro, abbia creato e diffuso dei virus per poi vendere i vaccini pronti per curarli. Un disegno e un’anima assolutamente diabolici, un grado impensabile di perversione e cinismo.
L’indagine resta per quattro anni ferma nel cassetto di un alto magistrato romano, Giancarlo Capaldo, il quale non muove un dito. Poi, improvvisamente, le carte – chissà come – finiscono nelle mani di un giornalista dell’Espresso – che da allora fa una brillante carriera e ora è vicedirettore del settimanale – il quale pubblica un bell’articolo presentato in copertina, a tutta pagina, con il titolo, terrificante, “trafficanti di virus”. La professoressa a quel punto ancora non sa niente dell’indagine della procura di Roma. Scopre dall’Espresso di essere una “trafficante di virus”, cioè un tipo di assassina seriale della peggior specie. Voi come avreste reagito a una simile follia? Come avreste provato a resistere, a non farvi travolgere? Io non lo so. Lei si dimise da deputata e iniziò a combattere. Capaldo, dopo l’uscita dell’Espresso, si limitò a confermare le accuse a a dichiarare chiuse le indagini. Per fortuna, per ragioni tecniche, il processo fu spostato a Verona, e la professoressa fu del tutto assolta. Le accuse erano assolutamente infondate e di pura fantasia.
A quel punto iniziò l’ultimo capitolo di questa vicenda. Altrettanto paradossale e allucinante. Il ministero chiese che Capaldo fosse giudicato dal Csm, ma il Csm andò lento lento, e Capaldo riuscì a compiere 70 anni e ad andarsene in pensione prima del giudizio. Processo estinto. La Capua invece denunciò l’Espresso. Ma non è facile averla vinta, in tribunale, con un giornalista riconosciuto da tutti come un sostenitore militante della magistratura. E così il tribunale di Velletri volle aggiungere, nei confronti della Capua, la beffa al danno. Assolse l’Espresso. Disse che non c’è niente di male dare del trafficante di virus a una brava persona. E men che meno calunniare una grande scienziata.
L’Espresso non ha mai chiesto scusa. Lirio Abbate ha fatto carriera. L’Ordine dei giornalisti non è intervenuto. Il Csm se ne è lavato le mani. Nessun magistrato, mai, ha preso pubblicamente posizione contro l’Espresso e Capaldo. La Capua ha lasciato il Parlamento e il Paese. E noi, che purtroppo facciamo lo stesso mestiere di quei colleghi che l’hanno sepolta, ridendo, nel letame, non possiamo fare altro che sentici anche noi un po’ in colpa verso di lei. Per non aver sollevato un pandemonio pazzesco e per non aver denunciato abbastanza il punto di bassezza che talvolta può toccare il lavoro della nostra categoria.
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