«Una manovra economica che non piace a nessuno, che costringerà gli italiani ad affrontare mesi durissimi senza nemmeno avere la prospettiva di un aiuto». Per il segretario nazionale del Partito socialista italiano, Enzo Maraio, il governo Meloni «conferma la sua trazione destra-destra. Un esecutivo che cancella ogni tutela per le fasce più deboli del Paese in un momento in cui l’inflazione ha fatto balzare i prezzi di circa il 12% in più».
Segretario Maraio, perché la manovra non le piace?
Non piace a nessuno. I sindacati dopo l’incontro di ieri hanno espresso un giudizio negativo, anche Bankitalia conferma che il limite dei 60 euro per l’utilizzo del Pos e il tetto del contante più alto vanno nella direzione contraria alla lotta all’evasione fiscale. Quella del governo Meloni è una manovra iniqua: lascia indietro le persone più in difficoltà e fa un regalo a chi aggira le regole del fisco. È stata bocciata da tutti. Scriva anche questo Meloni sul suo quaderno degli appunti…
In cosa è più carente?
Aumento del carburante, nessuna misura aggiuntiva per combattere il caro bollette per famiglie e imprese, saltato l’azzeramento dell’IVA su pane e beni alimentari primari, nessuna misura decisiva per combattere l’evasione fiscale. Non c’è nessuna tutela per le fasce più deboli del Paese in un momento in cui l’inflazione ha fatto balzare i prezzi di circa il 12% in più e i carrelli della spesa degli italiani sono sempre più vuoti. Noi socialisti abbiamo chiesto al Governo di inserire misure contro il caro energia con poche indicazioni ma precise: prorogare i contratti di servizio di maggior tutela, maxi multe agli speculatori e più soldi ai comuni per garantire continuità ai servizi ai cittadini.
La premier Meloni però ha sostenuto che la manovra aiuta i più deboli…
Le do due numeri drammatici: nel 2021 i poveri assoluti nel nostro Paese sono più di 5 milioni e mezzo, di cui 1,5 milioni sono bambini. Le persone a rischio esclusione sociale, che si trovano in uno stato di grave deprivazione anche alimentare, sono il 25% della popolazione. Le diseguaglianze sono aumentate in modo preoccupante, specialmente dopo la pandemia, e invece di affrontare il tema come prioritario, siamo passati da chi voleva abolire la povertà a chi non se ne occupa affatto. Questo è quello che ci preoccupa di più, ma dal Governo non c’è stato nessun segnale. E sui salari, le pensioni, il taglio del cuneo fiscale? Troppo poco o nulla. Sappiamo che il reddito di cittadinanza sarà abolito, ma non sappiamo quali misure l’esecutivo voglia adottare per fare fronte alle nuove povertà.
Ma la sinistra dovrebbe, all’opposizione, vigilare su questi temi…
Siamo in attesa che il Pd disbrighi le sue pratiche interne e che esca dal congresso permanente in cui si trova da anni. Per carità, i congressi sono un sintomo di democrazia, guai se non ci fossero… Ma evitare di concentrare tutto il dibattito attorno alle questioni interne e fare una opposizione intelligente a questo governo, potrebbe essere la cosa giusta in questo momento di fragilità del tessuto sociale. Mentre il terzo polo, snaturando le sue posizioni alla ricerca del nemico nelle opposizioni, è destinato a fare sempre di più la stampella al Governo. L’avversario comune è la destra, non i propri vicini di banco in Parlamento.
Quindi l’opposizione dovrebbe fare fronte comune?
Serve un dialogo franco con tutte le forze che non si riconoscono nelle politiche di questo governo. Sembra che l’opposizione in Parlamento abbia balbettato sui provvedimenti presi dall’esecutivo della Meloni; salvo poi criticarli ognuno con la propria declinazione. Questo è il momento di confrontare i nostri valori con le esigenze del presente e evitare di fare il gioco della destra. Bisognerebbe essere compatti, uniti e mi sembra che la crisi della sinistra abbia portato molti all’idea di costruire in Italia un fronte socialdemocratico. Un fatto politico che ha ricevuto segnali incoraggianti da più parti.
Si spieghi meglio.
Noi socialisti, da tempo, abbiamo indicato la strada della socialdemocrazia come identità di una nuova sinistra. Si è concluso da poco il congresso dell’Internazionale Socialista a Madrid che ha eletto il premier socialista spagnolo Pedro Sanchez alla presidenza: il modello da seguire in Italia è esattamente quello indicato da un leader della sinistra europea. La socialdemocrazia è l’unica risposta globale ai bisogni del nostro tempo e alle esigenze dei lavoratori, per una fiscalità equa, per affrontare l’emergenza climatica, per una vera parità di genere, per la difesa dei diritti civili. In Spagna il numero dei disoccupati è sceso grazie alla riforma del mercato del lavoro che premia la stabilizzazione dei lavoratori con la metà dei contratti complessivi attivi che sono ora a tempo indeterminato. Accanto a questo, l’aumento del salario minimo che non è assistenzialismo, ma dare dignità al lavoro. La sinistra dovrebbe essere questo.
Socialista?
Decisamente si. Non c’è sinistra senza i valori della socialdemocrazia e non c’è giustizia sociale senza socialismo. Serve una via italiana alla socialdemocrazia con un piede nella suggestione turatiana degli Stati Uniti d’Europa e lo sguardo dritto e aperto sul futuro del socialismo umanitario. È attraverso queste politiche che noi possiamo dare risposte alle esigenze di coloro che sono più in difficoltà, pensare a una fiscalità più equa per le imprese che arricchiscono l’economia e danno lavoro e continuare a battersi per la difesa dei diritti civili.
Il Pd sarà mai socialista? Nel nome o nei fatti?
È una strada obbligata per tutta la sinistra italiana e non solo per il Pd. È quello cui aspiriamo e su cui stiamo lavorando sin dal giorno dopo le elezioni politiche. Abbiamo preso l’iniziativa di fare appello a tutte le forze politiche del nostro campo a ripensare alla propria missione ed identità perché i semplici cambi di leadership producono poco. Abbiamo organizzato, per l’inizio del 2023, gli Stati Generali del Socialismo e chiediamo a tutti di venirsi a confrontare lì, per ricostruire dalle fondamenta una grande sinistra popolare e socialista, oggi troppo frammentata e dispersa nei dibattiti interni, che così rischia di avvitarsi attorno a se stessa. Potremmo ripartire da lì, da un percorso articolato con una visione strategica della società italiana per il lungo periodo.
