Parla l'ex ministro della Salute
Intervista a Roberto Speranza: “La trovata peggiore del governo Meloni è l’autonomia differenziata”
È stato Ministro della Sanità negli anni drammatici della pandemia da Covid. Rieletto in Parlamento, Roberto Speranza è segretario nazionale di Articolo Uno – Movimento Democratico e Progressista.
Assieme a Enrico Letta, lei è il garante del Comitato costituente del “nuovo Pd”. Ma essere “garante” non significa essere un notaio neutrale.
Per me la “Costituente” rappresenta una opportunità storica per la sinistra del nostro Paese. Si tratta di un termine molto ambizioso. Ora dobbiamo essere pienamente conseguenti. Quello che c’è non basta. Non basta il Pd, non basta Articolo Uno o le altre sigle oggi esistenti. Il risultato delle elezioni parla chiaro. Abbiamo bisogno di aprirci, raccogliere nuove energie e coinvolgere tanti che in questo momento non si sentono rappresentati. Non dobbiamo mai dimenticare che oltre 1 italiano su 3 non ha votato il 25 settembre. E questa volta l’astensione è stata significativa soprattutto tra nostri potenziali elettori. Io, assieme alla comunità di Articolo Uno, ho deciso di stare dentro questa sfida. Se si apre finalmente l’opportunità di costruire una sinistra nuova credo sia giusto stare dentro questo percorso e dare battaglia con coraggio e determinazione perché si cambi davvero. Chiaramente valuteremo passo per passo l’evolversi del percorso il cui esito per me non è già scritto.
Una delle parole più abusate nel dibattito a sinistra è “identità”. Cosa vuol dire per lei?
Per me la costituente è un’occasione per dire con chiarezza chi siamo e chi rappresentiamo. In un mondo in cui i conflitti non sono magicamente scomparsi come qualcuno pensava una forza politica ha il dovere di dire da che parte sta. Quando penso all’identità della sinistra oggi credo che il primo discrimine sia la difesa di beni e servizi pubblici fondamentali che non possono essere subordinati alla logica del profitto come invece vorrebbe la destra: garantire a tutti la tutela del diritto alla salute o all’istruzione, difendere l’idea di universalità, difendere la qualità e la dignità del lavoro. Dire ad esempio che se una persona sta male non conta quanti soldi ha, di chi è figlio o dove è nato. Ma in quanto essere umano ha semplicemente diritto ad essere curato. Questo siamo noi. Questa è la nostra identità, in linea con i valori di fondo della nostra Carta Costituzionale. È l’idea di fondo di mettere in discussione un modello di sviluppo che ha troppo creduto nella forza autonoma dell’economia di mercato di risolvere il problema del benessere e della felicità delle persone. Oggi quel modello che consuma il pianeta rischia di pregiudicare la sostenibilità del nostro stare insieme e soprattutto delle future generazioni. Quello dell’identità è un problema molto serio. Discuterne non è un esercizio teorico ma determina la tua azione quotidiana. Faccio subito un esempio concreto: se da un giorno all’altro passi dal dire che Conte è il principale riferimento dei progressisti alla celebrazione di un’agenda di compromesso come naturalmente era quella di Mario Draghi il problema non è né Conte e né Draghi ma la debolezza della tua identità. Senza sciogliere il nodo di fondo dell’identità sarà impossibile ricostruire davvero.
Un nuovo soggetto politico o comunque un “nuovo inizio” di uno che già c’è, dovrebbe partire dalle fondamenta e non dal tetto. Non teme che invece di discutere di idee si torni a concentrarsi sulla corsa alla segreteria?
È una preoccupazione vera quella che lei pone. Sono anche io preoccupato che la discussione e poi soprattutto la conta sui nomi possa far passare in secondo piano ciò che per me vale molto di più ovvero la fase costituente. Lo dico persino con simpatia nei confronti delle donne e degli uomini che si stanno candidando a una responsabilità così gravosa come quella di guidare la principale forza democratica del Paese. Però questa volta non possiamo pensare di cavarcela con una gazebata. Il problema dinanzi a noi è molto più grande e non credo che basti un uomo o una donna della provvidenza. Serve uno forzo molto più profondo. Sarebbe importante che tutti i candidati dimostrassero consapevolezza sulla complessità della sfida e sul fatto che questa volta non avrebbe alcun senso un “one man/woman show”.
Perché nel vocabolario politico della sinistra sembra essere scomparsa la parola “socialismo”?
Credo che in Italia la parola sia purtroppo rimasta a lungo segnata dall’esito infausto della stagione di tangentopoli che travolse il vecchio partito socialista. Ma è un grave errore. Per me socialismo è una parola bella e forte da riscoprire e rilanciare. E soprattutto è una parola del futuro, non del passato. Socialismo significa emancipazione, democrazia, libertà, eguaglianza, giustizia sociale, lotta per i diritti, lotta per la Pace e per l’internazionalismo, difesa dell’ecosistema. L’idea di fondo è che ciascuno vive meglio se tutti stanno un po’ meglio. Non c’è vero benessere per nessuno se gli altri stanno male. Ecco credo che oggi dobbiamo riscoprire con coraggio il senso più profondo di questa parola. D’altronde la nostra famiglia europea di appartenenza è il Pse. Condividiamo gli stessi valori e le stesse scelte programmatiche fondamentali con i socialisti spagnoli o portoghesi, con i socialdemocratici tedeschi o scandinavi. Certo la campana del rinnovamento della sinistra non suona solo per noi. Ma il terreno in cui fare questa battaglia è sicuramente quello del socialismo europeo.
Il governo di destra ha avviato la sua azione. Cosa la spaventa di più?
Sono tante le cose che non mi piacciono. È un governo di destra che fa cose di destra. Ma se devo indicarne una direi senza dubbio l’autonomia differenziata. È quello il progetto più pericoloso. Già esistono enormi distanze tra le diverse regioni italiane ed in modo particolare tra il sud e il nord del Paese. Se fosse realizzato il progetto leghista di autonomia sfrenata e senza limiti l’Italia semplicemente non esisterebbe più. La qualità della cittadinanza sarebbe profondamente diversa e l’unita nazionale verrebbe sostanzialmente compromessa. Penso che il prezzo sarebbe salato per tutti. Non solo per il sud ma anche per il nord. L’Italia o cresce tutta insieme o semplicemente non cresce. È illusorio pensare che un pezzo si salvi sulle macerie di un altro pezzo. Non funziona così. Non c’è nord senza sud e non c’è sud senza nord. Mi batterò in Parlamento e nel Paese contro questo disegno sconsiderato.
“L’Italia del post populismo teme la guerra e chiede uguaglianza”. È il titolo di questo giornale a commento del cinquantaseiesimo rapporto Censis. Cosa deve mettere in campo la sinistra per dare risposte attrattive a quel timore e a quella richiesta e perché la rabbia sociale, soprattutto delle fasce più deboli, si è indirizzata a destra?
È vero che la destra ha saputo rispondere più di noi alla domanda di protezione che è cresciuta negli ultimi anni soprattutto nei ceti sociali più fragili. Ma lo ha fatto con un’illusione: hanno indicato un nemico facile, i migranti, scatenando una guerra tra ultimi e penultimi. In realtà nella sostanza le loro proposte economiche, a partire dalla flat tax, spostano risorse verso chi è più forte e penalizzano chi è già in difficoltà. Presto questa illusione sarà chiara a tutti e si aprirà per noi uno spazio di recupero del terreno perduto. Qui torna la questione dell’identità. Per riconquistare la fiducia di chi teme di non farcela, di chi si sente insicuro sulle proprie condizioni materiali serve un profilo chiaro e netto che dica da che parte stiamo nel conflitto sociale che c’è. Non dobbiamo dimenticarlo mai: la sinistra ha senso solo se si batte contro le diseguaglianze e per un’idea di società più giusta.
Lei ha vissuto in prima linea, da ministro della Sanità, una delle crisi più drammatiche dei nostri tempi: la pandemia da Covid. Cosa le ha lasciato quella esperienza e che lezioni politiche e personali ne ha ricavato?
È stata un’esperienza fortissima che porterò sempre con me. Mi hanno sempre guidato due assi fondamentali: il primato del diritto alla salute su ogni altro interesse in campo e la centralità dell’evidenza scientifica che ci ha sempre indicato la strada. Sono stati anni durissimi. Ma il Paese ha retto prima di tutto grazie al suo Servizio Sanitario Nazionale e alle donne e agli uomini che vi lavorano ogni giorno. Le lezioni sono tante. La più importante è che bisogna investire di più sulla salute. Ogni euro che si mette sulla sanità non è semplice spesa pubblica, ma è il più grande investimento sulla qualità della vita delle persone. Io sono orgoglioso di aver invertito una tendenza di definanziamento e promosso nuovi ingenti investimenti compresi quelli del Pnrr, ma naturalmente servono ancora tante risorse per rispondere alle esigenze dei cittadini. Sul piano personale mi ha sempre guidato il giuramento fatto due volte nelle mani del Presidente della Repubblica che impone di esercitare le proprie funzioni “nell’esclusivo interesse del Paese”. Ho dovuto assumere scelte difficilissime, senza precedenti nella storia della nostra Repubblica. Ma alla fine quando segui l’interesse generale le persone lo capiscono e ti seguono come è avvenuto sia nei giorni tremendi del lookdown in cui gli italiani sono stati esemplari sia durante la più grande campagna di vaccinazione che si sia mai vista e che ci ha collocato trai primi paesi al mondo per tasso di adesione.
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