Ma come si fa? Ma che dobbiamo dire, come possiamo far finta di niente? Ma questo Conte perché non torna ai suoi avvocatucci, al suo piccolo mondo di mezza tacca e non fa outing dicendo: “scusate non sapevo come dirvelo, ma non sono adatto, noni ci capisco niente, sono perso, aiuto, gettatemi una corda, anche un cappio va bene?”
Ha rinunciato a correre per il seggio su Roma (seggio alla Camera). Ha dato il pacco, o buca, a quell’altro genio vagante che è Enrico Letta il quale si ostina a tenersi appiccicati addosso i brandelli del M5S esploso e spiaggiato come una balena. Ma la figura di Conte che rifiuta la candidatura per paura di Calenda, è talmente ridicola che non ci fa nemmeno ridere.
È una partita che somiglia al “Diner des cons”, la cena dei cretini del famoso film francese. Si deve eleggere un deputato romano e Letta spinge Conte che dice di essere diventato il capo dei Cinque Stelle, ma nessuno se ne è accorto. E Letta lo ha fatto per seguire il suo piano, evidentemente fallimentare, di tenere insieme dei cocci pentastellati, pensando che in fondo così facendo costruirebbe un’alleanza. Di che e fra chi, non si sa. Ma Letta, consigliato dall’onnipotente Franceschini e dal gruppo romano degli ex DS – sostiene Calenda in un’intervista a Repubblica – incarta col fiocco del pacco regalo l’offerta a Conte per dargli un’opportunità di esistere. E quello che fa? Gli dà a sua volta il pacco rifiutando l’offerta.
E lo fa perché Calenda gli taglia la strada: “Se tu ti candidi, mi candido anch’io e ti faccio fare una figura miserabile”. A questo punto Conte, che è un cuor di leone di peluche, si fa due conti e pensa: “manco per il cavolo, mica sono scemo”. Torna da Letta e gli dice, facendo la faccia di quello furbo: “Guardi, grazie, ma ho tanto da fare per rimettere in piedi questo coso a cinque stelle che mi sono preso all’orfanotrofio, e sto tutto impicciato, non riesco neanche a lavarmi la mattina, non ho chi mi lava la pochette, ho il mal di testa, le scarpe mi vanno strette e quel problema che ho sempre avuto con i congiuntivi adesso è diventato una catastrofe perché ho una carenza di vitamina B12 che non ne hai un’idea…” Figura di merdissima. Sua e di Letta che torna nel consultorio in cui i suoi giannizzeri creano i loro scenari di Risiko e riferisce che il Conte ci ha dato buca, adesso che facciamo? Intanto Calenda ritira la propria candidatura che aveva messo in campo solo per sbarrare la strada a Conte, due a zero, palla al centro.
Questo è il risultato finale della strage che la sinistra si è autoinflitta e che i Cinque Stelle si sono inflitti, facendo solo purghe, rottamando gli intelligenti e gli anziani, inventando criteri da guardie rosse maoiste o da hitlerjunge, ammazzando politicamente tutti. Largo ai giovani, è stato il motto più cretino e razzista che sia stato applicato alla politica italiana. E questa responsabilità non è soltanto di Letta, l’ultimo arrivato, ma di Renzi con la sua rottamazione (purga razziale su criteri biologici come l’età) e poi naturalmente di tutta quella fuga di gas della terra marcia che sono i grillini, veri lemuri della notte e stercorari della politica. E così abbiamo visto scomparire uno stile, una classe dirigente e oggi gli stessi che si sentono il cappio al collo perché hanno raggiunto l’età in cui i nuovi canoni impongono la morte – cominciano ad aver paura per sé stessi, a invocare le eccezioni e nell’ugualitarismo militarizzato, si ritrovano come nella Fattoria degli animali di Orwell: tutti uguali ma qualcuno più uguale degli altri.
Questo disastro ha fatto sparire i pensanti e consentito di vivere brevemente soltanto alla categoria dei sopravvissuti alla loro stessa strage, minacciati dalla loro stessa politica genocida. Non aveva del resto cominciato proprio Renzi con la sua furiosa idea della rottamazione al canto di giovinezza-giovinezza? Chi fa il, mestiere della cronaca politica un tempo doveva semplicemente capire quale fosse il vero piano nascosto fra gli enigmi di De Mita. Ma oggi chi si occupa di cronaca politica deve darsi alla psicopatologia e al teatro del ridicolo. In mezzo a questo marasma finisce un avvocato ben vestito e un po’ confuso che cento ne fa e una ne pensa, il quale diventa davvero il perfetto rappresentante di una strategia politica fondata sul nulla e turbata dalle paure esistenziali di un personale terrorizzato, miope, lento e che per di più – nel suo caso – privo di un retroterra organizzativo funzionante come quello che in una certa misura ha Enrico Letta, visto che “il partito” ancora scorre sotto il fiume carsico e riesce a ottenere risultati elettorali di sopravvivenza privi di qualsiasi prospettiva.
Conte ha di buono che essendo generato dal nulla, è indistruttibile, come il nulla. Diciamo la verità: sul palcoscenico di questa assenza di politica, Conte riesce a passare quasi inosservato e può permettersi di apparire e scomparire, con passo felpato. Che ci sia o non ci sia è irrilevante e per questo forse Enrico Letta lo ha riconosciuto: “Ecco il mio uomo”, si è detto. In fondo ha ragione.
