Conte ha ammesso di aver fatto cazzate nel disastro nazionale del Coronavirus

Tre grandi eventi hanno scosso il mondo nelle ultime 48 ore: il povero Boris Johnson, prime minister del Regno Unito è stato ricoverato in ospedale dopo aver fatto il gradasso contro il Covid-19 proprio mentre la regina Elisabetta, in verde pisello, richiamava lo stesso regno ad essere davvero unito. E poi – last but not least – abbiamo avuto il nostro prime minister per caso, il dott. Avv. Giuseppe Conte, affrontare la ribalta di un’intervista all’americana Nbc. Un’intervista lungamente preparata, scritta e corretta e poi annunciata su tutti i palinsesti uniti della televisione unificata di governo, in fluente anglo-pugliese. L’intervista, formalmente da brividi dal punto di vista linguistico, è politicamente importantissima perché Conte ha ammesso di avere il sospetto di aver fatto delle cazzate nel disastro nazionale del Coronavirus.

L’ha detto in una lingua simile all’inglese, ma l’ha detto con quell’espressione un po’ glutea chi ha imparato a riempire zeppole con parole, parole, parole ridondanti, eccessive, inutili e superflue che non significano niente. È specializzato. Se frugate il web troverete delle eccellenti imitazioni che colgono ed esaltano il suo core business che è il nulla travestito da autorevolezza. Certo, quando lo fai con i giornalisti italiani, passa inosservato per quel patto di complicità fra cazzari per cui nessuno, intervistato e intervistatore, corre mai rischi e pericoli. Però l’ha detto. Se davvero avesse saputo l’inglese, avrebbe potuto dire: We fucked up, abbiamo mandato tutto a puttane. Ma il problema era che non capiva mai le domande dell’intervistatore americano, cui rispondeva con ulteriori mestolate del ripieno: parole, parole.
Il giornalista rispettoso e imbarazzato chiedeva: come vivono lei, i suoi concittadini e i suoi cari questa tragedia in cui lei ha perso anche una guardia del corpo?

Conte, di fronte a una domanda drammatica, non si capisce perché, sorride. Roba da pazzi. Sorrideva come per dire: questa la so, mi ero preparato. E così, come i cavoli a merenda del tutto a sproposito afferma che noi soffriamo, sì, e anche molto. Ma il presidente Trump si è dimostrato un grande amico. Sembra l’esame del marchesino Eufemio del Belli, il quale volle precisare che “jambon” vuol dir prosciutto e che Rome è una città simile a Roma. L’intervistatore allora gli chiede: «Lei crede che la curva si sia appiattita a causa delle misure prese o per un’evoluzione del virus indipendentemente dalle azioni del governo italiano?». Espressione sorridente e risposta arredata da fischi per fiaschi: «Non so dire quando finiremo il lockdown, lo diranno gli scienziati.

Ma l’Italia è stata il primo Paese in Europa che abbia dovuto affrontare il virus e magari la nostra risposta non è stata perfetta ma noi abbiamo agito al meglio delle nostre conoscenze e il nostro modello e la sua validità è stata certificata dal Who». Ora, questo è il punto su cui Conte scivola malamente: è stata la Germania – come ormai è provato – ad avere i primi casi di Covid e proprio la Germania ha seguito una strada che non è quella del governo italiano, perché anziché inviare al macello migliaia di malati, medici e infermieri in ospedali senza più letti, il detestato Paese della Cancelliera Merkel ha seguito una linea totalmente diversa e con risultati infinitamente migliori: ha tracciato, raggiunto e isolato le persone contagiate, ha creato e distribuito kit per tenere i pazienti lontani dagli ospedali e i risultati sono quelli che si vedono: a parità di popolazione la Germania ha un ventesimo delle nostre vittime, così come Taiwan, la Corea del Sud e probabilmente il Giappone.

Ciò che Conte, sia pure nel suo maldestro inglese poteva dire, e non ha detto, è che l’Italia si è limitata – con enorme ritardo, in modo sfibrato e pieno di eccezioni e smagliature – ad applicare la ricetta cinese che nella sua versione originale era stata ammannita da un governo non democratico che ha usato la forza per un gigantesco lockdown, di cui il nostro era ed è tuttora una brutta fotocopia. Peggio di noi, soltanto la Spagna, seguita poi da Regno Unito, Francia e quanto pare anche dalla Svizzera. La cosa che più ci intriga è che Conte tutto ciò lo sa benissimo e lo ha ammesso di sguincio, con una generica ammissione di errori commessi e di imperfezioni umane: l’Italia è il Paese che finora ha sofferto e soffre più di ogni altro al mondo (l’America ci supererà, ma con più di trecento milioni di abitanti le proporzioni non hanno senso) e non ha il brevetto del lockdown, che è cinese.


Il governo che sua eccellenza ha l’onore di guidare, invece, ha solo cercato di copiare molto malamente, rifiutandosi con testardaggine incomprensibile di cercare i contagiati mentre sono ancora in giro. Invece, questo governo guidato da un narcisista (non ho personalmente nulla contro il narcisismo, purché a dosi omeopatiche) non ha affatto bloccato i contagi e ricordiamo ancora con rossore la missione affidata all’innocente Mattarella di andare a rassicurare i bambini cinesi e non cinesi arrivati dalla Cina, che non avrebbero mai subito la discriminazione razziale di due settimane di quarantena, perché girava ancora l’idea che la quarantena fosse una cosa salviniana, anziché una procedura in caso di epidemia.

Yes, mister prime minister: un sacco di errori, una caterva di sbagli senza i quali non si poteva avere il primo posto in classifica mondiale in morti e medici mandati al massacro. Lo sconcertato intervistatore americano chiede: lei pensa che in Italia si potrà dire a chi ha sviluppato gli anticorpi che può tornare al lavoro? Prime Minister sembra non capire la domanda e probabilmente non l’ha capita perché risponde curiosamente così: «Noi lavoreremo per la morte, ma in questo momento siamo tutti nella stessa battaglia per combattere lo stesso potente e invisibile nemico e in questo momento tutti i conflitti dovrebbero cessare».

Il gentile intervistatore capisce che qualsiasi domanda faccia, otterrà una riposta priva di connessione logica e dichiara terminata l’intervista augurando al capo del governo italiano di seguitare a battersi e sconfiggere il virus, grazie per aver partecipato. Era un addio. Fine della trasmissione. Ma il primo ministro per caso ci pensa un attimo e improvvisa un finaletto dicendo quanto egli sia onorato di essere alla guida di un Paese così straordinario come l’Italia.

Ancora oggi, se ne deduce, Giuseppe Conte si sveglia la mattina, si dà alcuni pizzicotti e si chiede: ma come cavolo è successo che io, proprio io, mi trovo lì, a rappresentare l’Italia, a guidare malissimo la più sconvolgente crisi che abbia colpito la Repubblica dopo la fine della guerra, sbagliando tutto ma facendo finta sempre di essere il meglio fico del bigoncio? Questo ci piace di Conte: dentro il suo completo con pochette batte lo spirito di un comico suo malgrado.