Il tweet del ministro della Salute iraniano Saeed Namaki , in cui ha dichiarato che ogni 10 minuti una persona in Iran viene uccisa dal Coronavirus, ha fatto il giro del mondo. A impressionare non è soltanto l’alto numero di vittime che ne consegue al termine di una drammatica moltiplicazione ma l’immediatezza dell’informazione così veicolata. Una cosa considerata lontana dall’esperienza della gran parte delle persone, per l’assunto inconscio del “tanto non capita a me“, viene misurata con uno strumento di cui tutti disponiamo: il tempo. È quello che gli esperti di comunicazione chiamano effetto di vicinanza, un espediente che genera confidenza e immedesimazione istantanea.

Eppure, se è vero che il dato sull’Iran impressiona, al punto tale da trovare posto sui giornali di tutto il mondo, quello italiano è di gran lunga, drammaticamente di gran lunga, maggiore. Volendo utilizzare la stessa unità di misura, ieri nel nostro Paese il Coronavirus ha ucciso una persona ogni tre minuti. E forse questo dato, nel mare di cifre che ci investe ogni giorno, lasciandoci incapaci di distinguere il numero dei morti da quello dei guariti o dei nuovi infetti, potrebbe servire a ritrovare il senso dell’orientamento.