Tecnicamente, a questo punto, la pace non solo è possibile ma è un’ipotesi assolutamente realistica. Anche se ha molti nemici. I giornali stranieri ci hanno informato che Putin ha avanzato una proposta ragionevole (sui giornali italiani, che in gran parte sono militarizzati, purtroppo queste notizie non filtrano, ma ormai non c’è più da stupirsi). Mosca chiede il riconoscimento della Crimea russa e l’autonomia per il Donbass. E poi chiede la non adesione dell’Ucraina alla Nato. La proposta di Putin è sul tavolo ed è un punto di partenza per una trattativa tutt’altro che utopistica.
Probabilmente questa trattativa poteva essere conclusa prima ancora dell’invasione, ma prima dell’invasione sono stati commessi un numero enorme di errori da parte di tutti. Fino all’errore fondamentale e tragico che è stata la sciagurata decisione di Mosca di iniziare la guerra. Sospendiamo la discussione sul passato e sul perché una trattativa che si avvicinasse a questa proposta dei russi non sia stata avviata qualche settimana fa. Arriviamo ad oggi. Ci sono ostacoli al negoziato? Per capire bisogna prima capire altre due cose. Cosa sta succedendo a Mariupol e cosa sta succedendo a Washington. A Mariupol ci sono alcune migliaia di persone asserragliate nei sotterranei delle acciaierie. Al riparo dagli attacchi dell’artiglieria. Ma anche imprigionati, perché ormai la città è in mano ai russi e dalle acciaierie non si può più uscire. Le alternative sono due: o la resa o la morte. Per ora il battaglione Azov, che controlla i sotterranei, non intende arrendersi. E sembra che tenga in ostaggio centinaia o forse migliaia di civili tra i quali molti bambini, molte donne e molte persone anziane.
Perché Azov rifiuta la resa, non avendo nessuna possibilità di reazione? Solo per timore che i russi non rispettino le condizioni della resa, che sono quelle di risparmiare la vita a tutti? In questo caso, però, il “sequestro”, diciamo così, dei civili e dei bambini sarebbe un atto gravissimo. Oppure la resa viene rifiutata per un’altra ragione: perché dentro i sotterranei, come dicono alcuni osservatori, insieme ai militari dell’Azov e ai civili, ci sarebbero un numero consistente di consiglieri militari occidentali, e il loro arresto sarebbe molto imbarazzante per l’Occidente. E poi c’è l’altra domanda che riguarda le acciaierie, sul fronte opposto. Perché ieri Putin ha dato ordine di non attaccare? (Anche questa è una notizia che apprendiamo dai giornali stranieri perché la stampa italiana, forse, non è stata autorizzata a darla o comunque a darla con l’evidenza che merita). È possibile che l’abbia fatto per ragioni umanitarie, ma in questo caso verrebbero smentiti clamorosamente tutti i ritratti sataneschi di questi giorni. Oppure lo ha fatto anche lui per ragioni di diplomazia. Che potrebbero essere le stesse per le quali il battaglione Azov non vuole arrendersi.
Se i russi attaccassero e uccidessero alcune decine di consiglieri militari americani e inglesi, si realizzerebbe un incidente che automaticamente bloccherebbe qualunque trattativa di pace. E probabilmente, in questo momento, Putin conta sulle trattative di pace che gli permettano di uscire dal vicolo cieco. E così arriviamo alla seconda questione. Chi comanda in America? È vero che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna oggi non sono affatto favorevoli alla pace e vorrebbero invece creare una situazione nella quale la guerra possa durare diversi mesi, o forse anche qualche anno, e serva per modificare in modo stabile e strutturale i rapporti di forza tra l’asse Usa-Gb e l’impero russo e quindi anche quello cinese? Difficile credere che questo possa essere il piano di Biden, perché è difficile credere che Biden possa avere un piano. Tutti gli analisti di cose americane concordano nel dire che il Presidente non ha né il carisma, né la visione, né, forse, neppure le competenze per comandare e fare piani. La sua vice, Kamala Harris che ha collezionato quasi più gaffe del Presidente, non sembra davvero in grado di sostituirlo. Ma allora chi comanda?
Si dice che il vero capo degli Stati Uniti oggi sia una signora non ancora sessantenne, piccola, atletica, molto colta, intelligentissima, afroamericana, brava a tennis. Si chiama Susan Rice. Ha lo stesso cognome di Condoleezza ma è democratica. Saldamente democratica. Figlia di una famiglia di intellettuali di Washington fu introdotta nelle stanze del potere un quarto di secolo fa dalla potentissima Madeleine Albright, segretaria di Stato all’epoca di Clinton. A Clinton non piaceva tanto, ma la Albright si impuntò e vinse. Ottenne che il presidente la nominasse segretario di Stato aggiunto per l’Africa. Un incarico di vertice. Susan aveva molti nemici. Specie tra i reazionari, cioè la destra repubblicana. Si presentò all’udienza della Commissione del Senato che doveva dare il benestare alla sua nomina con un bambinetto in braccio, Piccolo piccolo. Era suo figlio e doveva allattarlo. Rispose alle domande mentre il minuscolo Jake succhiava dal suo seno. La commissione era presieduta dal più reazionario tra i tutti reazionari del Senato, il famigerato Jesse Helms. Dicono che fu grandiosa. Conquistò tutti con la sua lucidità e il suo carisma. Persino l’arcigno Helms si convinse e le diede il voto.
Da allora Susan naviga nelle stanze più alte del potere democratico. E quando alla Casa Bianca è arrivato Obama, Il suo ruolo è cresciuto ancora ed è diventata il primo consigliere per la politica internazionale del Presidente. Susan aveva comunicato a far politica con Clinton opponendosi all’intervento americano in Ruanda, dove era in corso il genocidio dei Tutsi. Disse al Presidente (eravamo nel 1994) che se interveniva in Ruanda perdeva le elezioni. Clinton non intervenne. Il genocidio procedette spedito. Susan due anni dopo si pentì, ammise di aver sbagliato, e da democratica isolazionista divenne la prima degli interventisti. Spinse per la guerra del Kosovo e prima ancora per i bombardamenti dell’Iraq.
Ora, dopo quattro anni di Trump, è tornata alla Casa Bianca. E pare che sia lei a prendere le decisioni principali. E il suo interventismo è giunto all’apice. A lei non piace apparire, piace comandare. Lascia che poi appaia Biden, anche se non fa una gran figura. Lei non vuole mollare l’Ucraina, non vuole trattare, non vuole negoziare, vuole Putin morto. La spunterà? Ha un grande alleato: Boris Johnson. Non è chiaro chi potrebbe fermarla. Forse i repubblicani, cioè Trump, forse un dissenso dell’Europa, guidato dalla Germania, un po’ più coraggioso. Forse nessuno. In questo caso l’Ucraina diventerà il Vietnam europeo.
