I pugili che si affrontano sul ring di solito cominciano a studiarsi e a cercare di capire come entrare nella guardia dell’avversario. Se uno dei due riesce ad avvicinarsi e a sferrare due colpi in rapida successione, il famigerato uno-due della boxe, l’avversario con tutta probabilità cadrà al tappeto. Il primo colpo scuote, il secondo abbatte. Noi il primo colpo lo abbiamo ricevuto tra marzo e maggio scorsi. Oggi osserviamo i segni premonitori dell’arrivo del secondo. È imperativo schivarlo. La pandemia ci mette di fronte a delle scelte. È sempre così nei casi in cui un nemico aggredisce a sorpresa. Il coronavirus ha attaccato come a Pearl Harbour, in maniera subdola, senza preavviso. Ci ha costretto a prendere provvedimenti estremi e a comportarci come non era più accaduto da almeno un secolo, cioè dalla conclusione dell’influenza spagnola nel 1920. Come prevedibile, si sono sollevate alte le proteste di tante categorie sociali che comprensibilmente lamentavano i danni subiti a causa delle restrizioni imposte dal governo e dagli amministratori locali.
A queste si sono unite le voci, che non tardano mai a farsi sentire, di chi nega a prescindere, perché ogni cosa che accade a questo mondo è frutto di un complotto orchestrato da eminenze grigie nascoste nell’ombra, da Grandi Vecchi dediti al proprio interesse e al danno comune, per attuare ad ogni costo i loro incomprensibili e tenebrosi disegni. Il partito negazionista in questa circostanza si è diviso in due fazioni, distinte ma non avversarie, perché ognuna sarebbe soddisfatta del successo dell’altra, se servisse finalmente a smascherare il Supremo Inganno. La prima fazione è quella della Chimera. Il virus non è di origine naturale, è un’arma biologica sintetizzata nei laboratori di Wuhan, dai quali è sfuggita per leggerezza, o è stata trafugata, o è stata deliberatamente diffusa. La Chimera è un’entità biologica ottenuta artificialmente tramite manipolazione genetica, fondendo parti di organismi diversi. Come quella di Arezzo che è molto leone, un po’ capra e un po’ serpente. La seconda fazione è quella più radicale. Non è vero niente e basta! È tutto un raggiro, una menzogna, una frode. Ci fanno credere che ci sia una pandemia… Svegliatevi, illusi che siete altro.
Giù le mascherine, riempite i polmoni di aria pura e fate vedere che nessuno stramazza al suolo dopo essersela tolta. Se vi obbligano a tenerla, è sequestro di persona… (cit.) Intendiamoci. Uno scienziato non prende posizione in maniera preconcetta. Ogni opinione che non confligga con le leggi della natura è legittima. Ma, appunto, è un’opinione, che richiede evidenze sperimentali, fatti, prove per assumere la dignità di teoria. In assenza di prove, resta opinione soggettiva, legittima perché siamo in democrazia, ma senza diritto di ingresso nella Città della Scienza. Che il coronavirus, a cui si deve la sindrome Covid19, potesse essere una Chimera non era ipotesi del tutto infondata. Con sapienti operazioni di ingegneria genetica non sarebbe stata inconcepibile la creazione di un virus modificato da usare a scopi bellici, poi sfuggito di mano per qualche motivo. Tuttavia, le Chimere hanno dei caratteri specifici, delle “impronte digitali” che le distinguono dagli organismi naturali, prodotti dall’evoluzione spontanea secondo la Teoria di Darwin. Questa sì seduta in posto d’onore nella Città della Scienza. Quindi poteva essere, ma non è. L’opinione del complotto (volutamente non l’ho definita “teoria” per quanto detto prima) è surreale.
Per accreditarla bisognerebbe ipotizzare una congiura planetaria, a cui aderiscono intere categorie professionali, biologi, medici, infermieri, personale sanitario di ogni grado ed estrazione, politici, amministratori pubblici, giornalisti, oltre a tanti ingenui disposti a credere che si possa davvero scatenare una pandemia nel terzo millennio. E non basta ancora. Scenografi prezzolati e collusi che costruiscono fondali cinematografi ci a somiglianza di reparti di terapia intensiva e di corsie ospedaliere. Milioni di figuranti che si fingono malati per accreditare la farsa, tra cui politici, sportivi, attori noti e almeno cinque miei amici, che dicono di aver avuto pure loro il Covid19 e mi hanno raccontato quanto sono stati male, ma così male che non riuscivano non solo ad alzarsi dal letto, ma neanche a trovare una posizione accettabile per riposare, con senso di nausea, spossatezza, emicrania, perdita dei sensi del gusto e dell’olfatto. E io che li credevo miei amici e invece erano sul libro paga del Vecchio di prima.
Io so perfettamente che ci sono speculatori senza scrupoli dispostissimi a lucrare sui mali altrui, ad interferire, influenzando le scelte politiche per i loro scopi inconfessabili. Nei recessi della società civile si agitano forze oscure e poteri striscianti guidati solo dal profitto e dalla bramosia di accaparramento. Ma credo che gridare al lupo al lupo in ogni circostanza -anche in quelle in cui è evidente che nessun uomo potrebbe esserne responsabile- serva solo a distrarre l’attenzione dalle altre occasioni, in cui gli effetti sono prodotti dall’azione congiunta di una finanza predatoria e di persuasori occulti. Quindi prendiamo coscienza del pericolo che ci sovrasta, dell’arrivo di una seconda ondata di contagi e prepariamoci a contrastarla. I lettori assidui del Riformista ricorderanno che ho già deprecato le scelte inconsulte di andare in Croazia e in altri luoghi di villeggiatura contaminati per gettarsi alle spalle il triste ricordo di epidemie e lockdown.
Non era il momento di dimenticare, ma quello di impegnarsi perché non accadesse di nuovo. Il gancio sinistro ci ha già centrato in pieno. Non è proprio il caso di dimenticarsi al più presto dell’infelice esperienza, ma di serrare la guardia, perché il gancio destro non ci atterri. Il Primo Ministro Conte ha parlato e decretato. Misure timide e parziali. Chiudere un po’ prima i bar, sospendere il calcetto tra scapoli e ammogliati, imporre la mascherina anche ai naufraghi su un’isola deserta non fermerà il cazzottone in arrivo. Certo, sono provvedimenti impopolari per un politico, ad assumerli c’è molto da perdere e poco da guadagnare. Ma in momenti critici bisogna fare ad ogni costo quello che è giusto e necessario. Perché cosa ci aspetta tra una settimana, tra un mese, o in primavera?
La mia palla di vetro l’ho spedita a Murano per una lucidata e quindi non vi so rispondere con certezza. Ma vi posso dire cosa è già successo in passato in condizioni analoghe. Le epidemie di peste o di colera o di influenza spagnola, ad esempio, hanno sempre avuto una seconda ondata più devastante della prima. Pensare che il caldo estivo avrebbe fatto giustizia del coronavirus e che avremmo potuto gridare in coro “qui coviddi non ce n’è” era una pia illusione. Il coviddi c’è, eccome, e sta caricando il secondo colpo con tutta la spalla. Sono otto mesi che le autorità sanitarie ribadiscono le prescrizioni per prevenire il contagio. Ripeterle qui sarebbe solo abusare della pazienza del lettore. Per chi voglia dare una rinfrescata, basta appunto cercare su google: “come prevenire il contagio”.
Quindi, per un attimo, accantoniamo Grandi Vecchi, Poteri Occulti e Complotti Interplanetari e domandiamoci se abbiamo capito che quello che accadrà tra una settimana, un mese o in primavera, dipende esclusivamente da noi. Per aggredirci, il coronavirus ha il potere di insinuarsi abilmente nel naso, negli occhi, nella bocca. Ma solo questo. È materia organica bruta e inconsapevole, cambiata pochissimo in un miliardo di anni. Noi invece abbiamo il vantaggio di aver sfruttato questo miliardi di anni per evolverci. Facciamo valere questa superiorità. Abbiamo il modo di sconfiggerlo, seppure a costo di qualche sacrificio. È un prezzo accettabile per riappropriarci della nostra vita.
