È accettabile che uno studente meridionale debba beneficiare di sgravi che, in alcuni casi, non raggiungono nemmeno la metà di quelli previsti per gli iscritti a università non statali del Nord? È ammissibile che, proprio mentre l’Europa vincola la concessione di fondi per centinaia di miliardi alla riduzione del divario tra le diverse aree del nostro Paese, si continui ad alimentare le sperequazioni tra atenei, famiglie e studenti? Ed è giustificabile che un simile provvedimento sia stato adottato da un governo guidato da un meridionale come Conte e del quale facevano parte due napoletani come Luigi Di Maio e lo stesso Manfredi? Per Napoli Capitale la risposta è no ed è sicuramente un segnale positivo il fatto che ora Manfredi definisca «discriminatori» i massimali individuati nel decreto e si impegni a farli modificare. Ma il tema merita un approfondimento.
«La ragione della disparità – spiega Lucio d’Alessandro, rettore di un’università non statale come la Suor Orsola Benincasa di Napoli e per anni vicepresidente della Crui – risiede nel fatto che le tasse da pagare siano molto più alte negli atenei non statali rispetto a quelli statali. In più, il decreto considera la media delle tasse pagate dagli iscritti alle università in un dato territorio». Insomma, in Lombardia si detrae di più perché si paga di più, mentre in Campania si detrae di meno perché si paga di meno. Le cifre indicate nel decreto 942, comunque, sono e restano la spia di un Paese estremamente diseguale: «Certo – aggiunge d’Alessandro – perché il presupposto di un simile provvedimento è la differenza tra il reddito medio registrato al Nord e quello fatto segnare dal Sud. In altre parole, quel decreto è l’effetto di un’Italia “scombinata”».
E allora come si corregge una disparità che rischia di pregiudicare il futuro di tanti giovani meridionali? La sperequazione non dipende soltanto dalla differente quantità di fondi assegnata alle università statali e a quelle non statali, ma soprattutto dalle caratteristiche di un territorio: se le banche e le istituzioni pubbliche sostengono gli atenei, questi ultimi riescono a catalizzare l’attenzione e la fiducia di studenti e famiglie riuscendo poi ad accedere a finanziamenti statali più sostanziosi. «Le soluzioni sono due – conclude d’Alessandro – O si stimola l’economia del territorio o si concedono alle università più risorse. In questo secondo caso, però, il finanziamento delle università meridionali va rafforzato attraverso fondi perequativi e creando, intorno a quegli stessi atenei, poli di eccellenza in ambiti formativi e settori economici di rilevanza strategica. Se si operasse in questo modo, il rilancio della Campania, che vanta ben sette università sul proprio territorio, sarebbe finalmente a portata di mano».
