È un po’ come se stessero gridando “fascisti carogne tornate nelle fogne!”. L’appello, firmato dai tre direttori del Fatto, Padellaro, Gomez e Travaglio, urla con lo stesso tono da squadrista “Fuori Durigon dal governo”. E il quotidiano raccoglie firme per sostenere l’espulsione del sottosegretario. Come se gli spettasse la formazione dei governi. E come se il valore di un ministro o di un sottosegretario non si misurasse con la qualità del suo lavoro. Ma come se si stesse acquattati nell’ombra nell’attesa del passo falso, della cavolata più o meno scappata di bocca, per colpirlo, come nel caso di Durigon. Che la stupidaggine l’ha detta, questo è sicuro.
È stato relativamente facile con Renato Farina. In fondo le randellate sono servite “solo” a fargli perdere una consulenza di lavoro. Inoltre l’uomo, oltre a essere un giornalista molto più bravo degli squadristi che gli hanno dato la caccia, è anche un mite (come ha dimostrato nella telefonata con il randellatore numero uno, Fabrizio Roncone), non è presuntuoso e sa farsi da parte. Lo ha fatto, purtroppo. Con Claudio Durigon le randellate troveranno un corpo più duro. Perché il sottosegretario all’economia è un ex sindacalista di lotta, e anche perché, pur se per ora il suo partito e l’intero centrodestra non si sono fatti vivi, l’uomo non è solo.
E non ha commesso niente di grave. Una settimana fa, partecipando a un evento pubblico con Salvini, nella sua città, Latina, ha usato toni un po’ da comiziante, di quelli più accattivanti che originali, e magari ha anche pensato, in un ambiente decisamente di destra, di fare qualche dispettuccio a Giorgia Meloni, strizzando l’occhio al suo elettorato. Così, infiocchettando il discorso con “la storia” e “le radici” della città, l’ha buttata lì: perché non restituiamo al parco la sua denominazione originaria, cioè l’intestazione a Arnaldo Mussolini, il fratello mite e moderato del Duce, morto prematuramente a soli 46 anni? Non sarebbe stata niente più che una battuta demagogica quanto inutile, la sua, se lui avesse tenuto in maggior conto la conseguenza che avrebbe avuto il suo gesto, se lui fosse stato davvero in grado di cambiare quell’intestazione. Perché il parco era stato nel frattempo dedicato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E i miti non si toccano, soprattutto quando il loro ricordo suscita i sensi di colpa di quegli ambienti di sinistra che, quando i due magistrati erano in vita, non li avevano di certo sostenuti. Si sa che non c’è niente di più lacerante, di più violento del senso di colpa.
Non parliamo di un isterichetto con tendenze fascio-razzistiche come Marco Travaglio, per il quale quel che accomuna Renato Farina e Claudio Durigon probabilmente è solo il loro essere sovrappeso. Gli dà fastidio il solo guardarli, proprio come gli capita con Brunetta a causa della statura. Stiamo parlando di Enrico Letta e del suo modo di interpretare il suo ruolo di segretario del principale partito della sinistra italiana. Se lui avesse a cuore la storia dei due partiti che oggi compongono il Pd, forse sarebbe indignato per l’affronto a Falcone e Borsellino. Invece pare molto impegnato a reggere il moccolo all’ex premier Giuseppe Conte. E se quello indossa l’eskimo e le Clark e riempie il tascapane di sanpietrini, e poi dice che Durigon si deve dimettere, lui si accoda. E se poi il Movimento cinque stelle minaccia di presentare in Parlamento una mozione di sfiducia individuale, lui ancora si accoda, insieme agli altri pezzi della sinistra che sono Leu e Sinistra Unita di Fratoianni. In nome del resuscitato antifascismo militante che ha già fatto tanti danni nel passato.
Possiamo dire con una certa sicurezza che in questo caso il problema principale non è proprio rappresentato dalla memoria di Falcone e Borsellino. Intanto perché Conte e i suoi amici grillini non sanno niente della loro storia. A loro basta riempirsi la bocca con la parola “antimafia”. Veramente qualcuno di loro pensa che Giovanni Falcone fosse un Gratteri qualunque? Mettetevi a studiare, ragazzi. Del resto ci ha pensato un giornalista di sinistra di Repubblica, uno di quelli che la sanno lunga, a mettere le cose in chiaro.
In un breve articolo Stefano Cappellini l’ha detto in modo esplicito. Durigon deve dimettersi non perché ha offeso la memoria di Falcone e Borsellino (del resto lo stesso sottosegretario aveva chiarito di averne il massimo rispetto), di cui non frega niente a nessuno. Deve andarsene perché è un fascista. Il che mi ricorda, tra tante belle esperienze, anche le cose brutte degli anni settanta, quando a Milano i ragazzi non potevano passare per piazza San Babila se erano vestiti in modo tradizionale. Erano subito considerati “fascisti”, accerchiati e picchiati. Allora, forza, giù botte, “Fuori Durigon dal governo!”.
