Antonio Debenetti è stato scrittore di romanzi di successo, giornalista di lungo corso con il Corriere della Sera e critico. Figlio d’arte, suo padre era il grande Giacomo Debenedetti, maestro dell’analisi letteraria, ma soprattutto testimone lucido e originale del panorama culturale italiano del secolo breve. Debenedetti è morto domenica 3 ottobre a Roma, all’età di 84 anni.

Nato a Torino nel 1937 Antonio Debenedetti scrive per diversi giornali, prima di iniziare a collaborare, a partire dal 1963, con il Corriere della Sera.  Esordisce nel mondo letterario relativamente tardi, a 35 anni, nel 1972, con il libro Monsieur Kitsch edito da Marsilio. Da quel momento in poi la sua produzione diventa prolifica e variegata, dai romanzi come La fine di un addio, Editoriane Nuova, 1985, e Se la vita non è vita, Rizzoli, 1991. Poi tante raccolte di racconti, ad esempio Ancora un bacio, Guanda del 1981, Spavaldi e strambi del 1987, Rizzoli, ed anche memoir tra cui Giacomino, Bompiani, dedicato al padre. Proprio le storie brevi sono una cifra forte del suo approccio alla narrativa come dimostrano i recenti volumi In due, per Rizzoli, Il tempo degli angeli e degli assassini edito da Fandango, Racconti naturali e straordinari (Bompiani) e Quel giorno quell’anno (Solferino). È stato anche autore radiofonico e televisivo.

Debenedetti parla con Paolo di Paolo nel volume Un piccolo grande Novecento di se e del legame con i grandi artisti del ‘900, che per motivi familiari ha visto passare a casa sua. Scrittori come Alberto Moravia e grandi personaggi come Palmiro Togliatti o come quello, avvenuto all’università, con Giuseppe Ungaretti: “Il modo in cui leggeva Leopardi era talmente emozionante che non c’era bisogno di spiegazioni: la lettura stessa era una lezione. E poi c’erano i suoi occhi, che pungevano scintillando, luminosi come gli occhi, che pungevano scintillando, luminosi come gli occhi d’un uccello predatore; e la voce, trascinata e trascinante, che sembrava cercare le parole in un deserto. Scavava, soffriva e alla fine le disseppelliva, da chissà quali profondità, antiche come la luna, essenziali, insostituibili, ricche di misteriose fosforescenze”.

Riccardo Annibali

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