Una improvvisa bomba d’acqua ha turbato la placida, sonnolenta estate letteraria: si è tornati a discutere dei premi, del loro significato e della loro effettiva utilità. Senza entrare troppo nel merito delle argomentazioni – dei detrattori e degli apologeti – vorrei qui formulare un teorema generale in proposito. Allora: i premi letterari sono a volte utili, fanno vendere di più (mescolando lettori forti e lettori deboli), permettono spesso la ristampa dei libri e ne aumentano la visibilità, generano scambi culturali, in qualche caso rivelano titoli che altrimenti sarebbero rimasti ai margini, etc., ma il punto è che tutto questo lo fanno perlopiù a caso (rarissime le giurie in cui si discute davvero).

Il teorema che intendo proporre consiste allora in ciò: tra gli innumerevoli premi che si danno nel nostro paese (poesia, narrativa, saggistica, traduzione…) e il cosiddetto “valore letterario” non vi è alcuna relazione di cogenza. Sono due cose distinte, e appartengono a universi separati. Né questo implica giudizi moralistici: si tratta solo della descrizione di una situazione. Lo Strega – il premio più prestigioso – ha premiato alcuni dei capolavori assoluti della nostra letteratura, e gli scrittori davvero fondamentali del ‘900 – Flaiano, Moravia, Soldati, Morante, Ginzburg, Tomasi di Lampedusa, Volponi, Ortese, Primo Levi, Parise… (anche per la narrativa contemporanea disegna un canone attendibile e spesso non subalterno al mercato: solo due nomi, Siti e Albinati) – , tuttavia molti titoli premiati restano alquanto dimenticabili, mentre altri autori altrettanto decisivi degli ultimi decenni sono stati ignorati. E così per le vendite: alcuni libri premiati non hanno ricevuto alcun incremento tangibile dall’aver vinto.

Ciò dimostrerebbe che il pubblico dei lettori non è così influenzabile o manipolabile. I meccanismi che sottendono i premi sono in genere extraletterari (ripeto: salvo rarissime eccezioni) o legati a dinamiche imperscrutabili, del tutto accidentali, che – bisogna sottolinearlo – nessuno è in grado di governare. In questo senso mi sento tutt’altro che complottista: non penso tanto e solo a pressioni editoriali, alleanze tattiche, voti di scambio, ma a cose più impalpabili, come: capacità di relazioni pubbliche dello scrittore stesso, coincidenza imprevedibile del libro con mode e umori passeggeri, desiderio di “risarcimento” psicologico verso autori che – si ritiene – siano stati ingiustamente trascurati finora (premiati infatti mai per il loro libro più importante!). Non siamo distanti dal mondo rappresentato nelle Illusioni perdute di Balzac.

Una spia di questa situazione – e di un disagio reale – fu la modesta proposta da parte di un editore, appena qualche anno fa, di sostituire proprio allo Strega il voto con il sorteggio, riconoscendo onestamente alla sorte la sua centralità e piena sovranità (un po’ l’equivalente della “democrazia del sorteggio”, che a partire dall’antica Atene e dai Comuni italiani nel pre-Rinascimento, e fino al romanzo di esordio di Philip K.Dick, Lotteria dello spazio, nel 1955, è rimbalzata fino ai nostri giorni con lo scopo forse impossibile di “democratizzare la democrazia”). Si trattava di una provocazione. Sorprende però che alla luce di questa rinnovata consapevolezza anche scrittori refrattari alla società letteraria, eccentrici e intrattabili, vengano periodicamente colpiti – come da nuove varianti di un virus misterioso – dalla febbre dei premi (perfino Pasolini dovette tormentare i suoi amici per farsi votare allo Strega!).

Ma allora, se i premi e il “valore letterario” non comunicano tra loro – tranne che accidentalmente – , se appartengono a regimi distinti, quel valore oggi dove si trova e dove si forma? Chi lo decide? Chi lo custodisce e amministra? Una volta era, tacitamente, la comunità dei critici a farlo, una minoranza illuminata, ascoltata e socialmente autorevole. Ma quando nessuna autorevolezza è riconosciuta a chicchessia, quando la critica viene esercitata – nel bene e nel male – da un folto esercito di book influencer, quando il canone letterario – mutevole certo, ma dotato di prestigio – si è disperso in una moltitudine di microcanoni (che si ignorano a vicenda), anche il “valore letterario” potrebbe infine dissolversi, almeno come è stato concepito per secoli.