“Ci vuole altrettanto poco tempo per vedere il lato positivo della vita quanto ce ne vuole per vedere il lato negativo” scriveva il filantropo statunitense Warren Buffett. Certo scrivere il termine “positivo” in questi giorni pare quasi un azzardo, anzi, lo è. Abbiamo dimenticato che fino a poco tempo fa era sinonimo di qualcosa di buono, di un atteggiamento che avrebbe attirato cose belle. Ora invece pensiamo solo al tampone positivo, è diventata la parola più odiata e temuta. A giusta ragione.
I contagi aumentano e siamo tutti francamente stanchi di vivere così e di camminare sul filo dell’incertezza, ma se invece provassimo a mettere da parte la rabbia per i progetti rimandati, a far tacere per un momento tutto il trambusto che c’è intorno e ci fermassimo a guardare il lato positivo? È quello che suggerisce l’antropologo Marino Niola, perché ne è convinto: il lato positivo c’è. «La pandemia ha colto tutti di sorpresa e tutti siamo stati costretti a mettere tra parentesi qualche progetto che avevamo in animo di realizzare ma la vita è ciò che ci accade mentre siamo impegnati a fare altri progetti. La nostra vita – afferma Niola – è piena di imprevisti, di incognite che spesso ci fanno sospendere i nostri obiettivi. La maggior parte delle cose che noi facciamo non è il risultato di un progetto, ed è esattamente ciò che sta accadendo ora. La vita accade mentre noi lasciamo in sospeso i nostri progetti».
E se pensiamo a due anni fa ci scopriremo molto diversi, forse più consapevoli, di colpo più adulti. «Siamo cambiati molto rispetto a due anni fa quando iniziò la pandemia, intanto ci siamo adattati, la maggior parte delle persone si è adattata a questa nuova condizione – spiega Niola – Gli italiani, in generale, sono un popolo che si adatta facilmente. molto più degli altri e credo che uno dei grandi cambiamenti sarà proprio questo: da questa emergenza noi usciamo meglio degli altri e questo ci porterà ad amare di più noi stessi. Questo indurrà ciascuno a ripensare la propria vita, a fare un bilancio di ciò che è davvero importante». I bilanci sono pericolosi e qualcuno sostiene che sarebbe meglio non farli mai, ma se molte volte sono dolorosi altrettante volte portano a una versione migliore di sé stessi. «Fino a due anni fa non facevamo bilanci, correvamo e basta invece adesso li facciamo e corriamo per forza di cose molto meno – racconta Niola – Con il virus ci sono stati molti cambiamenti, e molti sono positivi. Abbiamo fatto in pochissimo tempo un lavoro che non avremmo fatto in vent’anni se non fossimo stati costretti, abbiamo superato il digital divide, ci siamo alfabetizzati tutti, ci siamo tutti sottoposti a una specie di educazione permanente e sicuramente, come succede sempre dopo una guerra o una catastrofe, la società dopo correrà più veloce».
E non è una corsa che non prevede il dolore e la tristezza, anzi, i ritmi frenetici a cui eravamo abituati ci mettevano al riparo dalle nostre emozioni, troppo impegnati, troppe le voci e le parole, era difficile sentirsi. Ora, invece, siamo costretti a farlo. «La pandemia ci ha obbligato a guardarci allo specchio – afferma Niola – ma tristezza e apatia molto spesso non sono generate dal virus, il virus fa semplicemente da cassa di risonanza perché le malattie non ci cambiano, sono dei rivelatori, ci fanno vedere come siamo davvero e quindi da questo punto di vista, se ci sono situazioni che già predispongono alla malinconia, alla tristezza, è chiaro che il virus le accentua e le fa venire fuori in tutta la loro dimensione, in altri casi invece no. Diciamo – conclude – che il virus ci ha obbligati a guardarci allo specchio e questo per tanti che non si erano mai guardati dentro può essere una cosa positiva. I cambiamenti migliori avvengono sempre dopo un momento doloroso e difficile. Quindi, prepariamoci al dopo».
