L’ultima crociata della sinistra politica e intellettuale è quella della educazione sesso-affettiva da introdurre nelle scuole. Un bel corso da inserire, sotto la guida dello psicologo, per far comprendere ai ragazzi, figli degeneri del patriarcato, che le ragazze non sono un oggetto da possedere, che il vero amore non uccide, che, invece, le l’altra metà del cielo va amata e rispettata, che la violenza non va mai esercitata e che bisogna saper accettare il rifiuto secondo quanto prescrive il decalogo del buon cittadino, civilizzato e democratico.

C’è un’idea sottostante a questo modo di concepire la formazione e il processo educativo su cui forse è giunto il momento di soffermarsi: è un’idea non esente da responsabilità per tutto quanto sta avvenendo, un’idea che l’ha fatta da padrona nell’orientare il sistema scolastico negli ultimi trent’anni, e che, pure di fronte ad un evidente naufragio di risultati, non demorde, anzi, si ripropone con arrembante pervicacia. L’idea è quella che il sapere, e la formazione, non sono più qualcosa che si sviluppa nel tempo, un contenuto o un processo affidato alla lenta e libera maturazione di una coscienza, ma che tutto è riducibile ad una somma di conoscenze parcellizzate, di contenuti estrapolati da ogni contesto disciplinare e storico che confluisce in una griglia di valori e di regole da calare dall’alto per plasmare il profilo dello studente-cittadino modello.

Il risultato di questa aberrazione è stata la delegittimazione di quanto ancora di valido restava in piedi del nostro sistema di istruzione e che, al pari dell’istituto familiare, è stato travolto dall’imporsi dello spirito del tempo che ha operato in una duplice direzione. Da una parte non c’è stato argomento che si imponesse all’ordine del giorno che non venisse tradotto in un nuovo decalogo, dall’altra si è indebolita sempre di più l’insieme delle discipline curricolari a vantaggio di un profluvio di progetti, corsi, eventi, giornate che hanno frantumato la continuità della didattica. In sostanza un cedimento progressivo da parte della scuola ad agenzia di intrattenimento.

Ciò che è venuto a mancare è proprio ciò di cui avremmo avuto maggiormente bisogno: una scuola che mettesse al centro quel dialogo educativo tra docente e alunno, senza orpelli. Insomma, la formazione tout court della persona che impegna il docente e l’alunno in uno percorso reciproco di crescita e di responsabilità. È legittimo chiedersi se a partire da un tema centrale e delicato per l’adolescenza come quello dell’amore, delle gioie e delle sofferenze che esso può procurarci, e di come queste vadano gestite, cosa sarebbe più utile fare. Sottoporre gli studenti a verbose sedute educative su come è giusto e corretto comportarsi e come non lo è, o recuperare il valore della conoscenza e della formazione  che è stato irresponsabilmente messo da parte.

I ragazzi hanno bisogno di chi li aiuti a capire qualcosa di quel sentimento che è in noi, ma che, nell’età adolescenziale, abbiamo ancora bisogno di scoprire nelle sue sfaccettature e nei suoi effetti. Un sentimento che possiamo comprendere non attraverso delle astratte prescrizioni, ma attraverso la storia di chi l’ha già vissuto ascoltando la voce di un grande classico, facendo risuonare nella intimità del loro animo la potenza delle parole depositate per sempre in quei testi. Forse è giunto il momento di chiedersi se, anche per una educazione sessuo-affettiva, o sarebbe meglio dire sentimentale, non valga più la pena di tornare a soffermarsi con maggior attenzione su un verso di Catullo o su un sonetto di Petrarca, piuttosto che trastullarsi su un libretto d’istruzioni in attesa di cestinarlo all’uscita di scuola.

Domenico Tuccillo

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