Un pizzico di delusione, in fondo, ci potrebbe anche stare. Quando si è proprio lì, soltanto a un passo dalla posta piena, l’impresa che non lo diventa nella sua interezza, ma rimane in parte incompiuta, finisce per non essere letta nella giusta prospettiva e, dunque, perfino per generare equivoci nei meno addentro alla vicenda sportiva. Entrando un po’ di più nel vivo della questione, però, il ko subito nella finale europea di Roma dall’Italia della pallavolo maschile è stato sì un inciampo che nessuno avrebbe voluto subire, ma non cancella, anzi rafforza, il vissuto fin qui messo in cassaforte dalla formazione di Ferdinando De Giorgi.

Tutto si può affermare, infatti, tranne che l’Italvolley vista in campo nelle scorse settimane non sia destinata a risultati addirittura ancor più grandi di quelli che fin qui ha raggranellato. Ecco perché, anziché sorridere a piena dentiera dell’argento – e stiamo parlando di un argento europeo, non certo del secondo posto in uno dei tanti tornei del pre-season di un qualsivoglia campionato – capita che ci si soffermi maggiormente sulla gioia piena mancata piuttosto che concentrarsi sul consolidamento di una posizione che vede gli azzurri sedere stabilmente in vetta, o comunque a un passo dalla stessa, del volley internazionale.

Nel giro di un biennio, la pallavolo tricolore ha saputo infilare un oro e un argento europeo e un oro mondiale. Fare di più, onestamente, sarebbe stato difficile, se non battendo quella Polonia che, dal canto suo, al PalaEur ha fatto di tutto, ma proprio di tutto, per vendicarsi della sberla subita un anno fa a casa sua, in quel di Katowice. L’espressione “Una volta le dai, l’altra le prendi”, in effetti, tratteggia quanto accaduto nella Capitale sabato sera, con un palazzetto stracolmo per spingere i suoi eroi alla vittoria e quell’urlo rimasto strozzato in gola che, considerate le premesse, è comunque lì, al suo posto, pronto per essere lasciato andare alla prima occasione utile.

Quando più di quattro milioni di italiani scelgono di sintonizzarsi su Rai 1 per vedere all’opera capitan Simone Giannelli e compagnia, in fondo, qualcosa pur significherà. Si tratta in tutta evidenza di un attestato di stima, del desiderio di partecipazione, di quella voglia di esserci che la cavalcata tra Bologna, Ancona, Bari e Roma ha inevitabilmente scatenato tra gli appassionati della pallavolo e, allargando lo sguardo, tra gli sportivi di tutto il Paese.

Nel pomeriggio della grandinata calcistica di San Siro, una volta spenti gli sfottò degli interisti sazi per il 5-1 rifilato senza colpo ferire ai cugini dell’ammutolita sponda rossonera di Milano, è iniziato tutto un altro film, con un finale non dolce come ognuno dei presenti avrebbe voluto, ma in ogni caso meritevole di essere visto, gustato, perfino un tantino maledetto.

Detta così, sembrerebbe quasi un elogio non richiesto della nazionale italiana nel momento della resa. È sufficiente raccontare l’accaduto in una pizzeria di Alzate Brianza, ossia in una delle migliaia e migliaia che puntellano il Bel Paese, per comprendere quanto invece il volto concentrato di Daniele Lavia, oppure quello di Alessandro Michieletto o di Yuri Romanò, sia entrato negli occhi, e forse anche nel cuore, dei molti che fino a pochi minuti prima erano immersi totalmente nel derby della Madonnina.

E sì, perché tra i tanti tavolini che come di consueto popolavano il sabato sera di quel locale, c’erano anche tre lunghe tavolate di quelle che normalmente respirano soltanto di calcio, che profumano di bambini che sognano la Serie A, di padri e madri pronti ad accompagnarli agli allenamenti per far loro inseguire il più luccicante dei sogni di quell’età. Bene, quando ancora il maxischermo passava gli highlight di Milano, ecco la richiesta del cambio di canale. Tra lo stupito e il divertito, la proprietaria acconsente, trasformando in un sol colpo il corso della discussione a tavola.

Via il dubbio sul primo gol, abbandonata la singolar tenzone su chi tra Henrikh Mkhitaryan o Marcus Thuram sia stato più decisivo, ecco appalesarsi le prime valutazioni sul probabile rientro in campo di Roberto Russo, oppure il lancio di iperbolici paragoni tra il tifo del palazzetto seppur stracolmo di Roma e quello non di uno stadio qualsiasi, bensì dell’appena ammirato San Siro.

All’inquadratura del Presidente della Repubblica gli ancor vivissimi ricordi dell’Europeo d’Inghilterra tornano subito alla mente, per poi lasciar spazio all’auspicio di un Sergio Mattarella in versione talismano a guidare gli azzurri verso l’oro. Così non sarà, almeno in questo caso; per saperlo, però, è stato necessario arrivare alla fine, con quel 23-25 nel terzo set a fiaccare le residue speranze a quel punto, e nonostante tutto, ancora testardamente accese. La fiammella, in effetti, non s’è mai spenta, neppure quando sotto 0-2 pareva non soltanto complesso, bensì quasi impossibile, ribaltare la frittata.

L’Italia, però, ci ha provato, sospinta da 11.300 tifosi pronti a sottolineare con la loro voce ogni palla caduta nella metà campo giusta. Non è bastato l’allungo iniziale nel citato terzo set, non è stato sufficiente annullare un match point che pareva destinato a chiudere anzitempo le ostilità. Lacrime e sorrisi, alla fine, si sono mischiati, con i baby-calciatori usciti nel parcheggio a sfogare la loro gioventù e i loro genitori a parlare di una nazionale differente da quella di Luciano Spalletti.

Alberto Gaffuri

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