Giampaolo Pansa, sicuramente, tra i giornalisti italiani del dopoguerra è stato una delle penne migliori. Con Montanelli, Pintor, Bocca, Zucconi. Ma la sua dote principale non era quella: era l’autonomia. Pansa è stato uno dei pochi giornalisti italiani che non lavorava per nessuno. Allora la gran parte dei giornalisti era al servizio dei politici. Di vario colore. Quando io arrivai in Parlamento il gruppo più forte erano i demitiani. Che poi fecero tutti gran carriera e finirono a dirigere molti giornali e parecchie Tv. I craxiani meno, meno carriera, dico. I comunisti meno ancora, tranne quelli un po’ trasversali che stavano proprio con De Mita. Giampaolo Pansa invece era indipendente. Poteva permetterselo perché scriveva come un dio e sapeva pure trovare le notizie. Non tutti potevano permetterselo.

Io non ho mai avuto grandi maestri di giornalismo. Se devo pensare a qualche mio maestro penso solo a due nomi: Alfredo Reichlin, che era il mio direttore in quegli anni, e che è il più sottovalutato tra tutti i dirigenti del Pci, e Pansa, che era un mito. Mi ricordo che alla fine degli anni Novanta all’Unità noi della generazione del ‘68 facemmo grandi lotte per l’autonomia. Dicevamo al partito: «Non esistono giornalisti di partito. Il partito è l’editore ma il giornalista, se davvero è un giornalista, è libero e indipendente». Prendemmo anche parecchi calci in faccia, infatti alla fine ci abbatterono. Prima di essere abbattuti (o dispersi in altri giornali) sperammo per diversi mesi che il partito, che aveva cambiato nome e non si chiamava più Pci, decidesse un direttore del giornale laico, e ci mandasse Pansa. Sognavamo.

Poi qualche anno dopo Pansa mise le mani sulla materia che scotta di più. I fascisti. Andò a scavare su tanti episodi dell’immediato dopoguerra nei quali i fascisti, ormai sconfitti e bastonati, non erano più carnefici ma vittime. I vinti. Iniziò a raccontare storie che ricostruiva con il suo metodo tradizionale: andare a vedere, farsi raccontare, verificare. Senza ideologie, senza tesi. La sinistra lo scomunicò, lui entrò nell’elenco dei traditori. Il più traditore di tutti i traditori, perché non solo aveva tradito la sua parte, ma l’aveva tradita nella sua essenza religiosa. Da noi l’antifascismo, spesso, è così: non è una idea liberale e libertaria, e laica e antiautoritaria. È una religione, un dogma, una sacrestia dove si rispettano rituali, inchini e certezze. Pansa violò quei rituali e fu messo all’indice. Anche personalmente. Non solo dalla sinistra, anche dal giornalismo. Finì ai margini. Proprio lui che era il più bravo di tutti.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.