Domandiamoci cos’è la politica se non la capacità di dire qualcosa anche quando il consenso si ridimensiona. In realtà la lunga stagione cominciata più di tre decenni fa con lo stigma del “maggioritario salvifico”, ha dato accesso nella nostra scena pubblica ad un che di muscolare legato al maggioritario, secondo il principio “il popolo me l’ha dato (il consenso) e adesso faccio tutto io”. Per cui i sempre più minoritari cultori della politica in questo nostro paese hanno metabolizzato solo il principio secondo cui il risultato del vincitore straripa e legittima tutto, in un contesto in cui le opposizioni sono un fastidioso accessorio e le piazze un insulto alla legittimazione elettorale. The winner takes it all, era il titolo di una vecchia canzone degli Abba, che però parlava di vittorie amorose.

Coi numeri esorbitanti la politica non c’è: è solo l’applicazione di un algoritmo che avrà un luminoso avvenire con l’AI. Un’era glaciale fa, nella cosiddetta Prima Repubblica, un partito dal consenso straripante, la Dc, non governava mai da sola, ma con alleati e persino un partito come il repubblicano che contava meno di un decimo del partito di maggioranza, se aveva cose di senso da avanzare era in grado di farsi ascoltare ed anche di imporre al governo le sue scelte. Quello che oggi verrebbe tacciato come un insulto al decisionismo, in realtà si chiamava politica. Renzi ancora ci prova a riproporla, tra una battuta al vetriolo e una “leopoldata”, buttando lì con nonchalance una questione che serpeggia da tempo nei chiaroscuri del non detto, negli anfratti di Montecitorio e Palazzo Madama, nelle redazioni dei giornali: il futuro quirinalizio della presidente del Consiglio.

Renzi l’agita come spauracchio per una sinistra irrimediabilmente vocata al martirio e anche per usare una leva capace di fare da cavatappi al riformismo della “terra di mezzo”. Ma, in realtà, dà corpo ad una ipotesi di lavoro tutt’altro che fantascientifica, ancorché remota, in un tempo come quello che viviamo consacrato totalmente all’immediato, in cui le prospettive sono naturalmente rimosse in favore del presente, figurarsi quelle quirinalizie che storicamente hanno stroncato ogni preparazione, risolvendosi solo negli stessi giorni delle votazioni.
Giochiamo a prenderla sul serio, allora. Cominciamo con l’età: la Costituzione richiede i cinquant’anni, che Giorgia Meloni compirà nel gennaio del 2027. E qua ci siamo perché il settennato del Presidente Mattarella finisce a gennaio 2029. Le maggioranze le fissa l’art.83 della Costituzione: due terzi nei primi tre scrutini e la maggioranza assoluta dopo: in questo momento la maggioranza di destra può contare fino al 58% dei grandi elettori parlamentari, dunque mission possible.

In mezzo ci sarebbero, peraltro, le elezioni politiche del 2027, se non prima, se dovessero manifestarsi condizioni favorevoli per la maggioranza in carica che, allo stato, non sembra doversi preoccupare per la concorrenza dell’opposizione. La speranza di approfittare dell’incapacità di contendere la vittoria da parte della sinistra nel prossimo turno e dunque di allargare il consenso della destra e poi di portare al Quirinale la prima donna, la più giovane di tutti (52 anni contro i 56 di Cossiga, il più giovane fino ad oggi), la prima personalità politica proveniente dall’area ideologica del “polo escluso”, possono fare da rampa di lancio per una ipotesi che solo qualche anno fa poteva trovare spazio solo nella fiction. Che, come abbiamo premesso, è madre di questo articolo.

Due controindicazioni all’ascesa al Colle della premier: una rimovibile l’altra no. La prima: mi sa che se questa è la traccia su cui la destra lavorerà nel prossimo tempo dovrà dire addio al premierato elettivo. Perché nella logica di chi non è al Quirinale va bene (sottrae poteri al Presidente della Repubblica) ma non viceversa. Ma qui si fa presto: si mette su un binario morto la legge costituzionale. In Italia andiamo forti coi binari morti. La seconda è più difficile: l’età, troppo acerba. Una volta sola è capitato di mandare un “quasi giovanotto” al Quirinale e tutti i sopravvissuti ancora si ricordano di qualche picconata presa in faccia, di sbieco o altrove. Ci sarà allora un motivo se, a parte il succitato e il 63enne Leone, tutti gli eletti avevano superato i 70. Mi sa che in questo caso Giorgia Meloni non ha rimedi da proporre.