La distanza tra le cancellerie nazionali e Bruxelles
Gli incontri spezzatino con Zelensky sono un assist per Putin: Macron e Merz deboli, Polonia e von der Leyen assenti
Il presidente ucraino ricevuto in separata sede da diversi leader Ue: non c’è strategia. E Mosca gongola
Il modello Westfalia non ha senso se applicato alle dinamiche interne europee. Il summit di Londra, ieri, ha visto riuniti al tavolo Regno Unito, Francia, Germania, in aiuto dell’Ucraina. Mancava però il resto d’Europa. Il fatto che si persista con meeting ad excludendum offre il fianco alle critiche più feroci e agli attacchi opportunistici di chi crede che l’Ue non abbia ragion d’essere e che debba essere smantellata. Appuntamenti del genere, inoltre, tornano del tutto inutili alla causa ucraina. La concorrenza tra le nazioni, come si faceva in epoche passate, è anacronistica e sproporzionata rispetto alle crisi internazionali che l’Europa dovrebbe presidiare come voce solista.
Le ripetute fughe in avanti della Francia di Macron sono state rigettate spesso dai partner europei di Parigi. Lo stesso Regno Unito si è dimostrato meno decisionista rispetto ai francesi. Starmer, che sembra dimenticarsi di non essere più nell’Unione europea, ha un elettorato a cui rispondere. Zavorra di cui Macron si sente ben libero. Il primo alleato di Londra è Washington. Nonostante Trump. Downing Street non si metterà mai di traverso alla Casa Bianca. Potrà essere scettica sul piano di pace. Come il premier inglese ha fatto intendere. Ma più che opporsi, lavorerà per trovare nuove opzioni.
Vale lo stesso per Berlino. Ieri la Bild ha pubblicato un sondaggio che registrava il livello più basso in assoluto di approvazione per il governo Merz. Oltre due terzi dei tedeschi si dicono insoddisfatti del cancelliere. Nel frattempo, l’AfD è il primo partito. Qualora si dovesse andare al voto in Germania, una qualsiasi presa di posizione esageratamente impegnativa in favore dell’Ucraina sarebbe stracciata. Peraltro, a Londra non erano presenti né i più stretti interlocutori europei degli Stati Uniti, né i Paesi più esposti al rischio russo.
Oggi Zelensky vedrà Giorgia Meloni a Roma. Quindi in separata sede. Quale vantaggio può trarre Kyiv da una serie di incontri bi o trilaterali, anziché da uno dall’effettivo respiro europeo, in grado di elaborare – ma questa è un’illusione – una roadmap di pace accettabile sia dalle parti in guerra sia dagli Usa? In un contesto di minaccia, se non di allarme, da parte del Cremlino, qual è il motivo per non registrare come interlocutori “teste di serie” quei Paesi che quella minaccia la percepiscono come reale? È il caso della Polonia come altrettanto dei Baltici. Di fronte a una Ue assente, ipernormativa e monopolizzata da alcuni suoi membri, la nostalgia per Mosca si radica tra quei governi che ne erano gregari.
Il summit di Londra lascia il tempo che trova. Come altre iniziative analoghe, che nascono dall’inefficace atteggiamento dei Paesi che pretendono di essere i primi della classe e quindi vedersi in sede separata, per poi tentare di proporre – o imporre – la propria linea al resto dell’Unione. La concertazione tra gli Stati-nazione ha funzionato in Europa dal Seicento, Westfalia appunto, alle guerre del Novecento. Una volta ceduta questa struttura, è stato l’intero vecchio continente a collassare.
Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, la globalizzazione ha imboccato una strada in cui questo modello sarebbe replicabile. Fatti i dovuti distinguo, la conflittualità tra le grandi potenze oggi è la stessa che in passato. Ma è a livello globale che l’Europa dovrebbe giocare queste tattiche. Non tra i suoi Stati membri. Ieri, tra i molti esclusi, c’era anche Ursula von der Leyen. Un messaggio neanche poi tanto implicito di come le cancellerie nazionali preferiscano condurre le danze senza l’ingerenza di Bruxelles.
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