Gli italiani di religione e cultura ebraica soffrono un dolore antico, diverso da quello degli israeliani, che soffrono per la guerra. E questi due dolori si sommano in chi, per storia o identità, porta addosso il peso di entrambe le appartenenze. Ieri una madre e un padre, nel silenzio di una camera mortuaria, hanno baciato ciò che restava del corpo del figlio tornato senza testa da Gaza. Si è fatto esplodere per non cadere vivo nelle mani di Hamas. Un sacrificio estremo che mostra il volto più brutale della guerra. Contemporaneamente, a Roma, alcuni ebrei discutevano sotto il post di un fotografo che, dopo aver lavorato a un matrimonio ebraico, esprimeva disgusto per aver visto una bandiera israeliana in sala. Un episodio minimo, ma indicativo di quanto oggi sia legittimato il disprezzo verso l’identità ebraica quando si lega a Israele.

In Italia è in corso una guerra retorica contro gli ebrei italiani: la maggioranza non ha cittadinanza israeliana, e in tanti non sono mai stati in Israele. Eppure vengono accusati, delegittimati, isolati. Il messaggio è chiaro: un ebreo non può essere davvero italiano finché non prende le distanze da Israele. Politici politicanti chiedono agli ebrei italiani ciò che non chiederebbero a nessun altro: dissociarsi. Da uno Stato che non è il loro, da un governo che non hanno votato. Nessuno pretende – giustamente – che un cittadino musulmano italiano prenda le distanze dalle azioni di certi governi islamici. Nessuno chiede a un italo-americano di giustificare o meno la Casa Bianca. Ma per l’ebreo questo accade. E questo atteggiamento ha un solo nome: antisemitismo.

Secondo l’Osservatorio antisemitismo, nell’ultimo anno si sono registrate oltre 268mila manifestazioni d’odio online e un aumento del 400% degli atti antiebraici. Il 94% degli ebrei italiani ha subìto almeno un’aggressione verbale. L’Eurispes parla di un clima ostile ormai “normalizzato”. Numeri che allarmano da tempo le strutture di sicurezza, dai Servizi alla polizia. Ma a sinistra pochi sembrano coglierli, mentre la tensione sale e la retorica di tanti, troppi, sembra collidere sempre più con quella di Hamas. In Israele, intanto, migliaia di famiglie vivono la guerra da 20 mesi: città sotto attacco, bambini nei rifugi, soldati mobilitati. Ma nel dibattito italiano, questo semplicemente non esiste. La sofferenza dei civili israeliani – ebrei, arabi, drusi, cristiani, circassi, beduini – non è un tema. Resta solo la condanna selettiva, e l’invito – neppure velato – a “non identificarsi troppo” a chi non dovrebbe avere proprio nulla di cui doversi giustificare, in quanto non israeliano.

Quale sarà il prossimo passo verso la deumanizzazione degli ebrei italiani? Quando la politica tornerà alla responsabilità? Le parole armano. E chi le usa con disinvoltura, dovrà rispondere delle conseguenze.

Israele senza filtri

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