Il dibattito sulla Gestazione per altri (Gpa) si è di recente riacceso intorno alla proposta di renderla “reato universale”, alla circolare del Ministero degli Interni che vieta la trascrizione degli atti di nascita dei figli nati all’estero da coppie omosessuali, fino alle dichiarazioni di alcune femministe.
I femminismi sono vasti e plurali, impossibili da ingabbiare nella loro complessità in una posizione monolitica. Da questo principio cardine nasce la lettera che vi inviamo e che rivendica la necessità di riaprire un dibattito femminista ampio in cui confrontarsi apertamente e senza preconcetti. La Gpa è un tema molto complesso, ricco di contraddizioni e questioni etiche – e come tale non può essere liquidato con superficialità, merita uno sforzo di elaborazione a partire dal fatto che il reato universale non può essere la strada e la tutela dei bambini e delle bambine rappresenta una precisa responsabilità.
La lettera ha raggiunto in poche ore oltre 200 firme fra femministe delle associazioni e dei luoghi delle donne, studiose, avvocate, docenti universitarie, psicologhe, giornaliste, giuriste, economiste, sindacaliste, ginecologhe, lavoratrici precarie, operatrici dei servizi antiviolenza, insegnanti. Fra queste, Giulia Blasi, Elisabetta Camussi, Maura Cossutta, Marcella Corsi, Marilisa d’Amico, Vera Gheno, Barbara Leda Kenny, Lea Melandri, Laura Onofri, Chiara Saraceno, Giorgia Serughetti, Maddalena Vianello.
Il femminismo italiano è ampio e plurale, con storie, linguaggi, pratiche diverse. Ha attraversato e indirizzato le nostre vite nel pubblico come nel privato. Come femministe viviamo e abitiamo luoghi differenti, abbiamo idee e visioni diverse, siamo ben consapevoli che non esista un solo femminismo e come femministe vogliamo intervenire nel dibattito sulla gestazione per altri, ma non vogliamo farlo solo attraverso una lettera. Un testo-appello assertivo, rivolto alla segretaria del Pd, che più che aprire una discussione sembra chiuderla. Pensiamo sia necessario che su un tema etico così sensibile, delicato e divisivo ci si confronti in un dibattito pubblico aperto, spogliandoci di ogni fondamentalismo, di ogni ideologia precostituita e ascoltando tutte e tutti quelli che su questo tema possano portare saperi, esperienze e pratiche. Ascoltando soprattutto i soggetti coinvolti, le persone in carne ed ossa, le nuove relazioni che si creano, le loro vite.
Partendo però da un dato di fatto, che nel nostro ordinamento la Gestazione per altri è un reato (la pena per chi viola la legge prevede la reclusione da 3 mesi a 2 anni e la multa da 600.000 a un milione di euro) e che, così come ribadito più volte da insigni giuristi, non si può creare il “reato universale” di maternità surrogata perché è innanzitutto un’aberrazione giuridica.
Quando ci riferiamo al “reato universale” dobbiamo prima di tutto capire che questo concetto nel linguaggio giuridico neppure esiste. Possiamo parlare di reati come crimini di guerra, o reati contro l’umanità, cioè reati che la comunità internazionale ritiene presentino una criminosità manifesta che giustifica una repressione ad ampissimo raggio. Ma non è certamente il caso della gestazione per altri. E non è questo il modo di contrastare lo sfruttamento del corpo femminile, sempre in agguato nel nostro mondo, ma non può diventare la chiave di lettura di tutte le esperienze di separazione tra gestazione e maternità. Significherebbe condannare prima ancora di aver indagato e ascoltato i soggetti coinvolti. Non è questo che la pratica femminista ci ha insegnato.
Quello che questa maggioranza politica sta provando a mettere in campo è prevedere che, a prescindere da come la condotta sia qualificata all’estero, la si possa perseguire come reato, imponendo l’applicazione della legge italiana anche all’estero. Non considerando che nel nostro ordinamento il diritto penale deve essere minimo, cioè deve intervenire quando non ci sono altri strumenti.
Quello di cui invece ci si dovrebbe preoccupare è l’esistenza di un vuoto di tutela per i bambini figli di genitori di coppie omosessuali, vuoto per il quale la Corte Costituzionale con due sentenze (n. 32 e 33 del 2021) ha invitato il Parlamento a legiferare. Perché crediamo, come lo crede la Corte Costituzionale, che l’adozione da parte del genitore intenzionale o non biologico (unica strada oggi percorribile) presenti complessità e problemi, prima di tutto perché non è prevista da una legge, ma è data dai giudici, che astrattamente potrebbero anche cambiare idea.
Inoltre, l’adozione è un procedimento giudiziario oneroso e lungo in termini di tempi e presenta numerosi deficit di tutela. Ad esempio il bambino non può “costringere” il genitore intenzionale ad adottarlo (il bambino è, quindi, sprovvisto di tutela nell’ipotesi in cui il genitore intenzionale abbandoni la propria famiglia). Inoltre, sempre in caso di dissidi tra genitori, il genitore biologico potrebbe non prestare il consenso all’adozione per il genitore intenzionale negandogli, quindi, il riconoscimento della genitorialità. Ulteriori drammatici problemi sorgerebbero nel caso di morte di uno dei genitori. Infine, l’adozione in casi particolari espone le bambine e i bambini, e i loro genitori, a indagini relative all’idoneità genitoriale e al benessere del bambino: qualcosa di grottesco, se si pensa che stiamo parlando di bambine e bambini che vivono fin dalla nascita con quei genitori.
L’inerzia del governo e del Parlamento su una materia così delicata e che ha risvolti concreti sulla vita delle persone, il voto del Senato che ha bocciato la proposta di regolamento europeo per il riconoscimento dei diritti dei figli e delle figlie di coppie omosessuali e l’adozione di un certificato europeo di filiazione, la circolare diramata dal ministero dell’Interno che vieta agli ufficiali di Stato civile di trascrivere gli atti di nascita dei figli nati all’estero da coppie omosessuali, rimarcano sempre di più la disparità di tutela fra i bambini e le bambine nati in famiglie composte da coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali. Una disparità di trattamento che solo in parte discende dalle modalità della nascita e che ci pare piuttosto condizionata, sul piano politico-culturale, dall’orientamento sessuale dei genitori.
Ridurre una questione così complessa – che, lo ripetiamo, riguarda prima di tutto i diritti delle bambine e dei bambini con genitori dello stesso sesso – a un dibattito, per quanto importante, sulla gestazione per altri è fuorviante. Anzitutto, perché alla gestazione per altri fanno ricorso in modo largamente prevalente coppie eterosessuali, ma di essa si parla solo quando nel dibattito pubblico riemerge la questione della disciplina dell’omogenitorialità. E soprattutto, perché procedendo in questo modo rischia di essere invisibilizzata, nel dibattito pubblico, la maternità delle donne lesbiche.
E questo come femministe non possiamo accettarlo e non possiamo accettare il disegno, neppure tanto nascosto, che la destra porta avanti: imporre un unico tipo di famiglia, quello formato da una donna e da un uomo, e ridurre a “devianza” – nella migliore delle ipotesi da “sanare” o “tollerare” – tutto quello che da questo modello si allontana. Non crediamo, come femministe, che il nostro spazio pubblico sia minacciato da una legge che regoli la registrazione della filiazione anche per le coppie omosessuali, e che finalmente azzeri le discriminazioni fra figli nati da coppie eterosessuali e omosessuali.
E come femministe vogliamo invece continuare a discutere sulla gestazione per altri, ascoltando, riflettendo, promovendo confronti liberi sulle domande che la complessità del tema pone a tutte noi. A partire per esempio da una discussione sulla maternità, sul corpo materno, sulle possibilità delle biotecnologie ma anche sui loro limiti, sugli effetti nell’immaginario e nel simbolico dell’identità femminile determinati dalla separazione tra gravidanza e maternità.
Parliamone e ascoltiamoci quindi, femministe di ieri e femministe di oggi, senza però mai rimuovere che la differenza femminile non può essere schiacciata sull’essenzialismo biologico, sul sesso biologico e senza mai dimenticare che il tema della surrogazione di maternità è ormai un tema pienamente utilizzato dalla destra, dentro un moderno biologismo patriarcale che intende riaffermare il valore naturale della famiglia tradizionale. Servirebbero regole e non proibizioni, perché l’autonomia e la capacità di decidere sul proprio potere riproduttivo non può essere vietata, censurata, punita.
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