Il ricordo
I dubbi di Occhetto, lo scandalo Craxi e gli scontri di Largo Febo
Quando la Camera respinse 2 delle 5 richieste a procedere contro il socialista la reazione generale portò il leader del Pds a ritirare i suoi ministri dal governo Ciampi
Dice giustamente Piero Fassino che in politica le scelte giuste, anche quelle difficili e dolorose, vanno fatte al momento giusto. Nella famiglia alla quale entrambi abbiamo appartenuto l’unico a possedere questa dote politica era Togliatti. Ne è testimonianza la svolta di Salerno dell’aprile del 1944 con la quale cambiò il nome, il programma e la natura stessa del Partito: da partito di classe a partito della nazione. Dei suoi epigoni, Occhetto e D’Alema, non si può dire lo stesso. Nessuno dei due possiede la dote del tempismo. Occhetto per mancanza di visione e D’Alema per presunzione, perché ritiene che il momento giusto sia quando lo decide lui mentre in politica a deciderlo è la realtà.
Nella svolta della Bolognina, come testimonia lo stesso Fassino, non c’è davvero nessun particolare coraggio politico. Quando crolla un muro anche il gatto si scosta e nessuno per questo lo loda! Quello che deve caso mai sorprendere è il ritardo politico e culturale con cui la svolta avvenne. Occhetto semplicemente non sapeva dove andare. L’unica idea chiare che aveva in testa era che non voleva che il Pci diventasse un partito socialdemocratico. D’Alema invece lo sapeva molto bene, ma voleva che a guidare il processo di riunificazione delle forze del socialismo italiano fosse lui e non Craxi.
L’errore più grave e (questo sì!) davvero imperdonabile che il gruppo dirigente di Occhetto e D’Alema ha fatto è stato quello di avere azzoppato prima e affossato poi il governo di Carlo Azeglio Ciampi. Il presidente Scalfaro, forse perché aveva sentito un tintinnar di manette, lo aveva fortemente voluto perché confidava che un governo sostenuto da tutto l’arco costituzionale avrebbe potuto completare l’opera di risanamento economico avviato da Giuliano Amato e, contemporaneamente, avrebbe potuto trovare una soluzione politica al problema della corruzione così pesantemente sollevato dalla magistratura di Mani pulite.
Come testimonia Claudio Petruccioli nel suo Rendiconto, si era fatta strada ai vertici delle istituzioni l’idea di un governo non di soli tecnici d’area ma anche di personalità chiaramente riconducibili ai partiti. Per il Pds vennero fatti i nomi di Augusto Barbera e di Luigi Berlinguer oltre a quelli di Spaventa e Rutelli. Occhetto, sia pure con un comprensibile travaglio, accettò questa proposta e diede il via libera a Scalfaro. D’Alema, invece restò contrario. Il 29 aprile del ‘93 alle ore dieci al Quirinale si svolse la cerimonia del giuramento. Lo stesso giorno, alle ore 19, la Camera dei Deputati respinse a maggioranza due delle cinque richieste di autorizzazione a procedere contro Craxi. L’effetto politico fu quello di una bomba. Tutto il fronte giustizialista urlò allo scandalo. La stampa fiancheggiatrice della magistratura, i magistrati interessati, la Lega e i gruppi estremisti di destra e di sinistra inscenarono una campagna di violenza verbale inaudita.
Di fronte a questa reazione, tanto rumorosa quanto immotivata, Occhetto, dimostrando una totale mancanza di carattere, capitolò. Si recò da solo in sala stampa dove annunciò il ritiro dei ministri del Pds e il passaggio dal voto a favore all’astensione. A seguito di questa decisione il governo Ciampi durerà troppo poco per assolvere al compito che gli era stato affidato da Scalfaro e, sopra tutto, il suo ministro della Giustizia, Giuseppe Battista Conso, illustre giurista e uomo di specchiata onestà diverrà oggetto di una vergognosa campagna diffamatoria. Per festeggiare questa scelta sciagurata, il Pds organizzò per il giorno successivo, 30 aprile ‘93, una manifestazione a Piazza Navona e fu in quell’occasione che a Largo Febo, a due passi da Piazza Navona, si consumò uno degli assalti squadristici più gravi del dopo guerra. La gente che defluiva dal comizio si fuse e si confuse con gruppi dell’estrema destra romana e insieme lanciarono monetine e insulti contro Craxi che usciva dal suo Hotel. Fu un episodio che apri la via ad una stagione di processi e di abusi giudiziari ai quali una politica miope e istituzioni democratiche indebolite non seppero reagire come avrebbero dovuto e potuto. Se si vuole indicare con precisione il giorno in cui è morta la Prima Repubblica quel giorno è il 30 aprile 1993.
Claudio Petruccioli parla di quella sera senza fare cenno alcuno ai fatti di largo Febo. Scrive infatti nel suo Rendiconto il 30 aprile ci fu una manifestazione a Piazza Navona. Parlò Occhetto, parlò Rutelli, parlò Ayala, Dissero tante cose belle e giuste e nobili. “La gente contenta che fossimo entrati nel governo ci sosteneva anche nella scelta di uscirne perché, prima di tutto e giustamente c’era la questione morale”.
Scrive invece Fabrizio Rondolino, allora cronista dell’Unità e testimone oculare dell’evento “Ciò che accadde, gli insulti, le banconote sventolate e sopra tutto il fitto lancio di monetine fu per me un fatto del tutto inaspettato, inatteso e persino inconcepibile. Indietreggiai di qualche passo per un tempo che mi parve infinito. Qualcuno già allora paragonò l’episodio a Piazzale Loreto non perché Craxi fosse come Mussolini, ma per la disumana violenza della plebe selvaggia. Per quanto mi riguarda, quel giorno la mia opinione su Mani pulite cambiò radicalmente: quella sera capii che cosa effettivamente fosse il giustizialismo, che cosa fosse Mani pulite, che cosa fosse l’anti craxismo che Berlinguer ci aveva insegnato e che Occhetto andava coltivando: niente altro che una folla inferocita che tenta il linciaggio.” Per quanto mi riguarda la penso come lui.
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