Via del Corso 476, Direzione nazionale del Psi. Oggi un indirizzo confuso tra i luminosi megastore dello shopping della capitale, ieri la sede di quel Partito Socialista che seppe interpretare meglio di chiunque altro le passioni, le pulsioni e le propensioni di una società – quella del benessere degli anni Ottanta – che voleva voltare pagina. E votare per una sinistra nuova, europeista, garantista, riformista.

I protagonisti di quegli anni furono, insieme a Bettino Craxi, Claudio Martelli, Gianni De Michelis e Claudio Signorile. Punto di riferimento, quest’ultimo, della sinistra lombardiana, a lungo in Parlamento e negli anni del governo Craxi, Ministro dei Trasporti. Signorile e Craxi costituirono una “strana coppia”. L’intellettuale pugliese – dai forti legami con le esperienze socialiste francesi e spagnole – e l’innovatore milanese, più legato alla Spd e alle socialdemocrazie scandinave, seppero creare quel cocktail vincente del nuovo riformismo.

Chi è stato Bettino Craxi per lei, che nel Psi era il riferimento dell’ala sinistra?
«Ci siamo conosciuti ai tempi dell’università, lui faceva politica tra i giovani universitari socialisti e io seguivo la Commissione università del partito, guidata allora da Tristano Codignola. Si era creato uno di quei rapporti che attraversano la vita. E ci siamo sempre saputi ritrovare, malgrado le discordanze – che oggi apparirebbero minuzie, ma ai tempi erano cose serie – e le dinamiche di un partito vivo, dialettico, dove ci si divideva e si litigava animati da passioni profonde e convinzioni importanti».

E questa dialettica tra voi era accesa?
«Era accesa ma segnata sempre dal più grande rispetto: procedemmo di pari passo, io divenni il referente della corrente lombardiana, lui divenne il vicesegretario di De Martino con la corrente autonomista, che si richiamava a Pietro Nenni. Sia io che lui eravamo in minoranza, nel partito. E vorrei fosse chiaro oggi, quando tutti hanno in mente l’idea di un Craxi potente, che qualcuno ha disegnato anche con tratti arroganti: no. Bettino Craxi è cresciuto in una minoranza del partito, che onorava del suo lavoro con impegno a prescindere dal successo personale suo o dalla fortuna della sua corrente. È un dettaglio ma vorrei fosse scolpito: non inseguiva il potere, lavorava per le sue idee e non ebbe mai ritrosia di sorta nello stare, con quella che allora si chiamava disciplina di partito, al servizio di una organizzazione plurale».

Eravate diversi ma necessari, l’uno all’altro…
«Sì, nel congresso di Torino diventammo complementari per formare una nuova maggioranza. Costruimmo una maggioranza proiettata sull’avvenire. Lui con l’area dell’Autonomia socialista, io con quella dell’Alternativa, ci trovammo insieme per dare al Psi una svolta generazionale».

Ha reinventato la sinistra italiana, rifondando l’idea stessa di riformismo?
«Sì. Abbiamo reinventato la sinistra riformista, insieme. Da sola la sua corrente diventata velleitaria, insieme abbiamo ridefinito il modo di essere riformisti negli anni Settanta. Unendo i nostri caratteri, i nostri tratti, le nostre esperienze che erano diverse ma convergenti, unimmo sensibilità e personalità diverse che divennero un nuovo corpo politico, un nuovo soggetto che portava il Psi verso il nuovo secolo».

Provaste insieme a reinventare, modernizzare, europeizzare la sinistra italiana?
«Craxi, gli va dato atto, riuscì a trasformare un pezzo della sinistra italiana. Portò il Psi a superare il 14% dei consensi, sbloccando flussi elettorali che erano stati congelati a lungo nelle due chiese della Dc e del Pci. Europeizzando la sinistra riformista, sì. Perché fino ad allora eravamo molto provinciali. Craxi seppe cambiare completamente passo, in Europa e nell’internazionale socialista era visto come un fenomeno, e ben presto riconosciuto come uno dei leader del socialismo riformista europeo. Brandt, Rocard, Gonzales… tutti i grandi leader europei volavano a Roma, e nella sua Milano, per incontrare Bettino Craxi».

Il presidenzialismo era tra le idee di Craxi?
«Sì, certo. Ma era del tutto diversa, quella “Grande riforma”, da quella di cui parla Giorgia Meloni. Volevamo una ristrutturazione della forma dello Stato bilanciata da nuovi poteri al Parlamento, valorizzazione di Comuni e Regioni e insieme un potere decidente più forte per il Presidente della Repubblica, garantita attraverso la sua elezione diretta. Ci lavorammo anche in quel caso insieme: Craxi era un leader inclusivo che sapeva ascoltare e unire, e mai dividere. Il suo esempio purtroppo non trova emuli nella storia di questi ultimi anni».

Che cosa si rimprovera, rispetto alla fine di quell’epoca?
«Avremmo dovuto reagire con sdegno alle monetine del 30 aprile 1993. Invece, spaventati da Mani Pulite, disorientati e confusi, non abbiamo saputo organizzare una reazione vera. Non me lo perdono».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.