Il ricordo
Bettino Craxi “l’ultimo vero politico”. Il ciclone nella palude che ha dato nuova forma e identità al socialismo
Quel partito che aveva lanciato l’idea della grande riforma finì, più di altri, con l’identificarsi in un sistema politico ormai non più in grado di reggere

Venticinque anni sono passati dalla morte di Bettino Craxi e sembra che sia passato un secolo. Dalla Prima alla Seconda repubblica, con le sole varianti delle leggi elettorali, non sono state approvate le tanto sperate riforme istituzionali e costituzionali. Epperò, per dirla con Roy Batty del film Blade Runner: “Ho visto cose che voi esseri umani non sapreste nemmeno immaginare”. A Palazzo Chigi, dal cavaliere del lavoro al grand commis di Stato, dal partito del comico genovese al civil servant, alla professionista della politica post fascista. Nel corso di venticinque anni, il moto della risacca politica non ha portato che lui, Bettino Craxi. Allo statista socialista, Aldo Cazzullo ha dedicato un libro di successo: “L’ultimo vero politico”. Non esiste nessun leader di partito che abbia una sorprendente attualità di pensiero come Bettino Craxi. Un “irregolare” post litteram, dotato di un fiuto politico che lo portava a comprendere i cambiamenti in atto in Italia e nel Mondo. Era un combattente. Non si è mai arreso contro le disavventure che lo hanno perseguitato. Ha avuto la forza e il coraggio di lottare contro gli avversari del mondo politico, giudiziario e dei mass media che, ingiustamente, lo avrebbero voluto in galera. Denunziò alla Camera il sistema del finanziamento illegale dei partiti, non salvando alcun partito, compreso il suo.
Il mondo di Yalta non si difendeva con le messe cantate. Dei finanziamenti illeciti di partito, lo sapevano pure le pietre. L’Aula si rifugiò in un silenzio assordante, trovando, strumentalmente, in Bettino Craxi, il capro espiatorio, un antico rito biblico con cui si chiedeva il perdono dei propri peccati. L’Aula, presieduta da Giorgio Napolitano, giocò a sfavore del leader socialista, alcuno intervenne per sostenere le sue argomentazioni sui costi della politica, giocoforza, le inchieste giudiziarie avrebbero preso una piega diversa. Un altro rito biblico fu usato contro di lui: il linciaggio, tramite lapidazione, con il lancio di monetine da un assembramento incontrollato di comunisti e di fascisti, all’uscita dell’Hotel Raphael di Roma. Dall’Italia riformista del G7, di cui Craxi era orgoglioso, all’Italietta, i cui cittadini indottrinati di mala politica e di ideologie sconfitte dalla storia, sceglievano i riti barbarici per combatterlo. Perché lo contrastavano, alzando tensioni sociali, innescando una guerra civile a bassa frequenza e sostenendo un pool di Pm, che avevano scambiato lo Stato di diritto con lo Stato etico? Perché era un riformista innovatore, che pose con forza la modernizzazione del sistema Italia. Il che lo mise contro i comunisti e i democristiani, dato che sfasciava la politica consociativa, di cui i due partiti avevano, di fatto, una intesa non dichiarata. Craxi è stato il politico più perseguitato dalla magistratura e il più oltraggiato dai mezzi di informazione, nonché, nei suoi confronti ci fu un furore giacobino della gente, apripista dell’antipolitica e del populismo. A dimostrazione dell’accanimento giudiziario, i processi farsa furono fatti a tamburo battente, – cosa inedita ora e allora -, in cui non sono stati mai interrogati i testimoni a suo carico.
Nondimeno c’è stato un accusatore ad accusarlo. I post comunisti si sono sempre battuti per affermare l’antica teoria: “Nessun nemico a sinistra”; a maggior ragione, era avversario se non un nemico, il partito socialista riformista e autonomista, fuori dall’egemonia comunista. Lo scopo degli eredi del Pci, nelle diverse declinazioni sino al Pd, era quello di prendere il posto del Partito socialista, sotto mentite spoglie, dopo il crollo del comunismo. Comunque sia, Craxi era un avversario e, per dirla tutta, un nemico, tant’è che Tonino Tatò rispolverò il “socialfascismo” in una nuova versione, accusando il Partito socialista di avere come segretario un “avventuriero, un capo banda”. I cattocomunisti, – ad esempio Franco Rodano, Tonino Tatò -, con la segreteria di Enrico Berlinguer, ebbero molta voce in capitolo, iniettando un antisocialismo viscerale, per via della laicità del Psi. Senonché, il cattocomunismo mena le danze ancora, in forza alla capacità di essersi saputo generare tramite l’unione fra comunisti e post comunisti e gli ex democristiani morotei e dossettiani che si ritrovano nel Partito democratico, senza una reale cultura riformista socialdemocratica. Per intenderci, quella di Craxi. Tuttavia, ha sul suo corpo la lettera scarlatta: Bettino Craxi. E, fino a quando quella sinistra non farà i conti con la di lui storia umana e politica, avrà a che fare – come dire – con la “maledizione del faraone”. Si badi che non voleva sentir parlare di riabilitazione, anche perché avrebbe dovuto essere riabilitato da “coloro – scrisse – che mi uccideranno”. Sotto questo aspetto, la destra ha saputo, furbescamente, autoassolversi, ancorandosi al patriottismo e al socialismo tricolore di Craxi.
Difatti, ha strumentalizzato le sue idee, incorporandole nel suo sovranismo. Strana l’Italia, in cui alcuni premier, per come sono stati trattati, è una tragedia greca. Per dirne due: Aldo Moro assassinato in una Renault 4 e Bettino Craxi morto in Tunisia per non potersi curare da uomo libero in Italia. Proprio Craxi che si battette per salvare Moro, perché contava più la vita di un uomo che lo Stato. Ignazio La Russa andrà, il 19 gennaio, ad Hammamet, a commemorare Bettino Craxi. Bel gesto, se la Seconda carica dello Stato, porterà le scuse dell’Italia.
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