Libri
All’ombra della storia, all’ombra di Craxi un intreccio letto con la lente del ricordo
Nella vicenda umana e giudiziaria di Bettino si sono sovrapposte colpevolmente soggettività e obiettività, come se una fonte in particolare da cui produrre la “storia” (la magistratura) fosse dotata di crismi sovrannaturali, para-divini
La recente pubblicazione del libro dell’onorevole Stefania Craxi, “All’ombra della storia”, per le edizioni Piemme è una grande opportunità di riflessione. Sono molteplici, infatti, gli spunti che si ricavano dalla lettura del testo, fluido, scorrevole, ordinato, il cui ritmo è incalzante in una progressione di tonalità emotive che partono in sordina per poi crescere d’intensità fino a convergere nella fase finale del racconto, in cui il lettore si trova innanzi allo strazio non solo politico, ma soprattutto umano, di un uomo e della sua famiglia.
“All’ombra della storia” non è soltanto una storia; o al limite più storie intrecciate e lette attraverso la lente del ricordo di una persona che rivede se stessa bambina, poi adolescente, ragazza e infine donna attorniata “da persone a cui piaceva immaginare il futuro”, con il cognome di un personaggio politico di vecchio stampo, risorgimentale, come lo definisce l’autrice, per il quale la politica è l’aria che respira oltre che una questione di vita e di morte; è anche una testimonianza che offre al lettore la possibilità di concentrarsi sul concetto di “storia” e su come esso possa essere prodotto; un invito a diffidare dei “motori” di narrazione monodirezionali, mostrando come la storia dell’uomo, del politico Craxi e di tutti coloro che ne hanno seguito la parabola esistenziale non possa ridursi al mero “caso Craxi”, il quale è potuto esistere solamente grazie ad una fonte storica, quella giudiziaria, attraverso la sua roboante appendice massmediatica.
Si potevano e si dovevano escludere altre fonti? Si doveva silenziare l’altra campana nel giudizio politico, storico su Craxi? Sulla base di quali criteri? Nella vicenda umana e giudiziaria di Bettino Craxi si sono sovrapposte colpevolmente soggettività e obiettività, come se una fonte in particolare da cui produrre la “storia” -la magistratura- fosse dotata di crismi sovrannaturali, para-divini.
Come se la tanto decantata “obiettività” imposta a forza di linciaggi mediatici fosse raggiungibile, quando invece dovrebbe essere palese che tutto ciò che è detto, è detto da un osservatore, dunque condizionato, legato a quel punto di vista che è anche e soprattutto il punto cieco dal quale chi osserva opera le distinzioni con cui agisce nella comunicazione e costruisce realtà più o meno dotate di senso. E questo punto cieco dell’osservatore che indica e distingue può essere osservato soltanto da un altro osservatore e via di seguito, a catena, nell’infinito flusso della comunicazione. Anche se c’è modo e modo di osservare, specialmente se l’osservato si chiama Bettino Craxi.
In tal caso si è osservato un solo punto cieco scambiandolo per un punto di luce, rinunciando a incrociarlo e a compararlo con altre possibili distinzioni e osservazioni, in ossequio ad una fallacia logica, quella del principio di autorità, scambiata per verità assoluta, rivelazione, ascesi e profilassi sociale: un rituale di purificazione e di liquidazione condotto con il linguaggio violento della degradazione che ha sempre caratterizzato la fabbrica dei capri espiatori e le pratiche del “pharmakon”. Sappiamo, oggi, che non è stato così. Il tempo è galantuomo, si dice, e anch’esso, mi si perdoni il gioco di parole, ha i suoi tempi, i suoi modi.
Il libro di Stefania Craxi è un ulteriore tassello della galanteria del tempo: una testimonianza diretta che non è mai apologia o memorialistica, nemmeno quando ricostruisce la storia della sua famiglia. È al contrario graduale e amara considerazione di uno spartiacque storico, quello della caduta violenta di Craxi dopo i fasti di Palazzo Chigi e la missione per conto dell’Onu, che coincide con una spassionata denuncia nei confronti della odierna dimensione politica, oramai innervata da slogan vuoti, da ipocrisie di ogni sorta e da formule rituali e pseudo progressiste che la immunizzano e le fanno tagliare i ponti con il merito e con la cultura. Una denuncia che non è un rimpianto, come sottolineato dall’autrice, quanto una constatazione inquieta circa il ruolo non lineare di ciò che chiamiamo “evoluzione”, la quale non sempre è scevra da regresso e da barbarie. Se, come ha sottolineato a più riprese Stefania Craxi, il ritratto umano e culturale corrisponde a quello politico, non essendo gli esponenti politici degli extraterrestri ma uomini e donne in carne, spirito e sangue come tutti gli altri, è forse lecito domandarsi se non si sia un po’ tutti, ancora, all’ombra della storia. Cioè all’ombra di Craxi. Oggi più di ieri.
Questo libro servirà a ogni generazione: a quella che può mettere in discussione certe credenze confuse con la conoscenza, come anche ai più giovani, sospesi nel tritacarne della religione neoliberista della globalizzazione che aveva promesso la fine della storia e l’avvento del mercato come la seconda venuta di Cristo, demolendo la politica e ipotecando il futuro. Siamo soliti pensare che il passato sia dietro di noi e il futuro davanti; i greci ritenevano al contrario che il passato fosse prima di noi e il futuro dietro, in agguato, pronto a coglierci alla sprovvista. Un po’ come è accaduto quando abbiamo perso il volano della vita sociale -la politica- per sacrificarlo alle ragioni della globalizzazione e dei mercati; violentemente in Italia, con la distruzione dei partiti politici simbolicamente riassunta nell’annientamento morale e personale di Bettino Craxi. Infatti, il futuro ci ha colti alla sprovvista. Anche se non è certo che sia potuto cominciare, tanto sono ingombranti ancora oggi le macerie lasciate da mani pulite.
© Riproduzione riservata