Nel 1978 in Calabria con Bettino Craxi e il boss Peppe Piromalli, nell’agrumeto di uomini della ‘ndrangheta. Nel 1992 con il generale Delfino dei carabinieri e il mafioso Giuseppe Graviano, in un bar sul lago d’Orta. Ecco l’ultimo ritratto di Silvio Berlusconi che saltella tra cosche calabro-siciliane, negli scatti ossessivi del triangolo mafiologi di penna-mafiosi-mafiologi di toga.

Non ci dormono la notte, gli uomini della trattativa tra giornalisti, mafiosi e pubblici ministeri. Così in Calabria, in quel processo surreale chiamato “’Ndrangheta stragista”, che pare il fratello minore di quello palermitano sulla trattativa, un “pentito” di nome Girolamo Bruzzese ha potuto raccontare sotto l’occhio impassibile di procuratori e giudici un ricordo di se stesso quindicenne. Era il 1978, subito dopo l’assassinio di Aldo Moro. E “si doveva cambiare prospettiva politica”, riflette il quindicenne.

Fu per quello che un giorno comparvero in Calabria, nell’agrumeto del padre del ragazzino, due signori eleganti, con soprabiti neri e cappelli borsalino del tipo di quelli indossati “dai gangster americani”. Il baby-mafioso, non ancora “pentito”, li riconosce immediatamente, sono Silvio Berlusconi e Bettino Craxi, scesi in Calabria per trattare con Piromalli il cambiamento politico italiano. Se qualcuno pensa che si tratti di pura fantasia di un ragazzino o dello scherzo del “pentito”, non ha ancora visto niente. Parliamo della fotografia che sarebbe stata vista, ma “da lontano”, dal conduttore tv Massimo Giletti, ma che nessuno riesce a trovare, che avrebbe fissato l’immagine del mafioso Giuseppe Graviano con un alto ufficiale dei carabinieri, il generale Delfino e, ovviamente, Silvio Berlusconi.

I tre erano seduti in un bar “molto buio” sul lago D’Orta. Non siamo neppure inondati dal sole della Calabria, né inebriati dal profumo degli agrumi, ma nel buio di un bar sul lago nero e morto di Orta. Anche in questo caso, i più creduloni paiono essere i magistrati. Quelli di Calabria hanno il piccolo alibi di dover credere, o almeno far finta, alla testimonianza di un proprio collaboratore di giustizia, la cui parola non va mai screditata per non correre il rischio di vedere messa in discussione l’intera testimonianza. I pubblici ministeri di Firenze, quelli che dopo tre inchieste fallimentari e archiviate, ancora pensano di poter provare che Berlusconi e Dell’Utri abbiano messo le bombe delle stragi nelle mani di Cosa Nostra, non hanno eppure quell’appiglio, per evitare di rendersi ridicoli.

Così paiono dare credibilità al pataccaro Baiardo, uno che sembra inventato apposta per dare sostanza e patente di “antimafia” alla trasmissione “Non è l’arena” di Massimo Giletti su La 7. Un signore già condannato non solo per il favoreggiamento dei fratelli Graviano nei processi di mafia, ma anche per calunnia e falso. Uno ritenuto credibile da nessuno, del resto basta guardare le sue occhiate sornione, il suo dire e non dire, alludere e smentire, per aver voglia di mettergli in mano qualche spicciolo e mandarlo a comprarsi un gelato.

Invece la rete di Urbano Cairo lo invita quale ospite d’onore per tre volte in trasmissione e lo retribuisce: trentamila euro, quarantamila? In chiaro, in nero? Quel che conta è il fatto che il pataccaro Baiardo, amico di chi, se le sentenze non hanno sbagliato, le stragi di mafia le ha fatte davvero, pare avere più credibilità, agli occhi del conduttore Giletti e del suo editore (il quale ha detto di aver sempre lasciato il massimo di libertà alla trasmissione) di Silvio Berlusconi. E lasciamo perdere il momento storico, con le patacche sparate quasi sul letto della terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele di Milano. Ma il fatto grave è che in quel di Firenze, all’indirizzo della Procura della repubblica, ci sono dei pubblici ministeri, Luca Tescaroli e Luca Turco, che ancora vanno a caccia di farfalle, sperando di acchiappare nella retina Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri come mandanti delle bombe.

La loro indagine sulle stragi del 1993 avrebbe dovuto essere chiusa già dal 31 dicembre del 2022, ma a quanto pare di proroga in proroga viene tirata in avanti da un invisibile elastico che la sta rendendo eterna, per quanto fallimentare. Mancava solo il pataccaro Baiardo. Che, ovviamente, ha già ritrattato tutto. E mai consegnerà una foto che non esiste. Dopo aver tirato un bello scherzetto al povero Giletti. Come faranno adesso i due pm Luca, visto che “Non è l’arena” è stata chiusa, e che le posizioni di Berlusconi e Dell’Utri sono state già archiviate tre volte e si avviano alla quarta?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.