L’Italia no. L’esercito, non risulta. Ma la televisione sì, è entrata in guerra. Opinionisti, autori, conduttori, dirigenti di rete: tutti, tranne forse gli inviati che la vita del fronte la conoscono, sono parte di unità combattenti contrapposte. Autoconvocate, ma non per questo meno determinate e perfino rabbiose. È in questo scenario che l’informazione italiana è alle prese con due casi, innervati l’uno sull’altro. Quello del Copasir che chiede conto delle dinamiche con cui vengono scelti e valorizzati gli ospiti televisivi (“troppi filorussi”, l’accusa) e quello del dossier sugli agenti di influenza russi che permeano i media, dalla carta stampata alla rete. Il primo caso risente della bufera Rai. Il secondo delle intemperie politiche. E tra i due casi, la tempesta perfetta: il misterioso episodio di Massimo Giletti che per La7 vola a Mosca per intervistare la portavoce del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, Maria Zakharova.

Trasmissione tesissima: il conduttore subisce gli affondi della sua intervistata: “Aggressivi noi russi? Fa dei ragionamenti da bambino”. Poi, con la motivazione esattamente opposta, gli strali in diretta di Alessandro Sallusti, che abbandona Non è l’Arena. E il popolare conduttore che si accascia, a ridosso della balconata dell’edificio che lo ospita, e perde i sensi. Per inquadrare meglio l’ultimo dei casi di quel Titanic che è diventato il panorama dei talk show, con le orchestrine che suonano nel pieno della più clamorosa crisi di abbandono del pubblico. Una fuga incessante di ascolti che gli analisti spiegano proprio con il clima irrespirabile che trasuda dai confronti-scontri nei salotti televisivi. La qualità va giù, e allora si cercano trovate originali. Le cosiddette strambate. Ma andiamo con ordine: in Rai sono i giorni in cui si consuma un dramma vero, con l’amministratore delegato della Rai Fuortes che ha deciso di allontanare dalla direzione dedicata agli approfondimenti Mario Orfeo. Un vero e proprio terremoto, per di più senza concertazione con i partiti, con il governo, con lo stesso Tesoro che della Rai è azionista. Il Pd – di cui Orfeo è espressione – è sulle barricate e diversi consiglieri minacciano di disertare il voto previsto per domani, mercoledì.

“Alla luce di quanto sta accadendo in queste ore, ho richiesto in Vigilanza Rai una audizione di Fuortes”, dice la deputata Paxia per il gruppo Misto. È stata chiesta da tutti. Ma il tunnel referendario-elettorale congela le audizioni fino a dopo il 12, pressoché impossibile di una settimana. Una delle questioni su cui si è incentrato lo scontro è stata quella degli agenti, questa volta non di influenza ma degli ospiti. La scuderia Caschetto contro la scuderia Presta, secondo fonti consultate dal Riformista. Ed è su questo che il Copasir ha chiesto di vedere le carte e ha audito i vertici Rai. Qualcosa, nella ricorrenza degli stessi nomi nei salotti tv, non torna. E adesso il Copasir avrebbe messo nel mirino, più estesamente, gli influencer filorussi. Gli opinion maker che tirano la volata alla Russia di Putin non in virtù di una personale convinzione ma perché assoldati, e dunque arruolati, nei ranghi degli agenti di disinformatia russa. Non solo perché ospiti delle tv ma perché collaboratori, corrispondenti, editorialisti per testate della carta stampata periodica e quotidiana, di radio, agenzie, blog. Si entra nel sacro suolo delle libertà fondamentali, maneggiando forse con non troppa cura una materia delicatissima. Succede così che il Corriere pubblica le foto di una ennesima lista, quella che il Copasir avrebbe fornito loro, con nomi e foto di agenti di influenza al servizio di Putin. C’è l’onnipresente Orsini, ci sono attivisti noti, blogger che è facile reperire su Google facendo una veloce ricerca. Tutte persone che hanno espresso le loro idee in rete, pubblicamente, firmandosi. Andando a sostenerle in televisione. E dunque non proprio agenti nascosti, infiltrati che agiscono nell’ombra. Il giallo si infittisce quando il Copasir, ieri, ha smentito il Corriere della Sera: non abbiamo mai dato noi quella lista.

“L’ho letta anch’io sul giornale, non la conoscevamo prima come Copasir”. Adolfo Urso, presidente del Copasir, appare il più sorpreso nel trovarsi davanti a quella lista dei ‘putiniani’ italiani. “Come Comitato – ha spiegato il senatore – abbiamo attivato una indagine conoscitiva, secondo gli strumenti che la legge ci conferisce, per quanto riguarda la disinformazione e la propaganda che avviene anche, ma non solo, attraverso la rete cibernetica. E laddove lo riterremo opportuno, alla fine di questa indagine faremo una specifica relazione al Parlamento”. Una spiegazione che non basta a Conte: “Voglio essere esplicito: trovo indegno che si facciano delle liste di proscrizione, che si mettano delle foto di alcune persone, estraendo delle opinioni che hanno espresso. Il nostro Paese è bello perché siamo in democrazia, teniamocela stretta”. Materia delicatissima, dicevamo, perché è un attimo passare dalla parte del torto. Nell’attesa delle prossime puntate, quella di Non è l’Arena di domenica è da annali della televisione. Giletti fa quello che era stato sconsigliato a Salvini: vola a Mosca. Perché in fondo è lì, che è la notizia. E le notizie le danno, o le nascondono, i portavoce del governo. È con la Zakharova che Giletti ha appuntamento. “Non aveva dormito, il viaggio è stato organizzato in pochissimo tempo. Era stato già consumato dalle polemiche il giorno prima, con pressioni fortissime”, ci racconta uno dei più stretti collaboratori di Massimo Giletti, il giornalista Giulio Seminara.

In tanti se la sono presa con lui perché dare la parola al governo russo, in questa fase, significa fargli un favore. “I nostri critici sono divisi: alcuni dicono che siamo andati a polemizzare con Putin, altri che siamo andati a dargli un microfono. Dove bisogna andare per capire la politica russa, se non in Russia? E Giletti lo ha fatto con professionalità e spirito critico, facendo le domande. Per qualcuno, troppo aggressivo. Per altri, troppo morbido”, riepiloga dalla redazione di Non è l’Arena Giulio Seminara. “Il fatto che la polemica sia montata prima ancora della sua partenza, spiega bene il clima. Preconcetto, pregiudiziale. Giletti va dove sa di trovare le notizie: era stato subito in Ucraina, adesso in Russia. C’è stato uno scontro in diretta con la portavoce russa, con un Giletti che ribadisce ogni volta che la Russia ha aggredito e l’Ucraina si sta difendendo… ma qui siamo davanti a una polarizzazione estrema, eccessiva”, prosegue Seminara.

“Questa tendenza di spaccarsi, di radicalizzare le divisioni si è affermata con il Covid e non se n’è più andata. Come tra Pro-vax e No-vax, adesso sulla guerra. La polarizzazione estrema è una malattia, ed è il degrado dell’informazione”, conclude chi presiede al lavoro autoriale nella redazione di Giletti. A proposito di malessere, quello di Giletti è stato autentico. “Aveva dormito poco e mangiato meno. Sotto forte stress, e sotto i colpi del freddo russo, Giletti ha perso i sensi. Lo abbiamo visto nel monitor a bassa frequenza, in regìa c’è stata paura. Abbiamo allertato un medico sul posto, mentre mandavamo la pubblicità. È stato soccorso, gli hanno preso la pressione. Ed ha voluto riprendere la trasmissione”, ci racconta.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.