Il suo tratto più tipico era forse il linguaggio, secco e lapidario: «Una prospettiva… d’avvenire!». Non il Sol dell’avvenire come effige statica. Bettino Craxi aveva in mente proprio il domani, con le sue sfide e le sue incognite. Ogni sua analisi sfociava nel futuro. Nelle rievocazioni di questi giorni, invece, di futuro ce n’è ben poco. Si compie una riparazione storica, questo sì. Ma si resta fermi al 19 gennaio 2000, quando il corpo di Craxi cedette di schianto e tutti si volsero dall’altra parte.

Il parziale e tardivo risarcimento

La novità è chiara: dopo un quarto di secolo, l’Italia politica ha capito lo scempio compiuto allora. Lo dice meglio di tutti Marcello Veneziani: «Fu il più grande statista degli ultimi 40 anni». La novità politica è nell’autocritica che viene persino da sinistra. È nelle parole di Sergio Mattarella, da scolpire nel marmo e nei libri di storia per le scuole.
Ma questo è solo un (parziale e tardivo) risarcimento. Su ciò che rimane di vitale dell’eredità politica di Craxi si parla in modo affrettato e scomposto. Certo, non si può “consegnarlo alla destra” solo per il suo profondo spirito nazionale e il disegno presidenzialista. Ma non si può neppure arruolare nella sinistra attuale, lui che sfidò la decrepita egemonia comunista, il conservatorismo sindacale e tutti i sepolcri imbiancati che si impancavano dai giornali e dalle università come depositari del Bene.

Da criminale a beato

Farebbe fatica a digerire un campo largo dominato da giustizialisti e santini del politicamente corretto, avvinghiati al presente e alle loro rendite di posizione. Craxi era indignato dall’essere stato trattato da criminale. Ma certamente sarebbe infastidito anche dalla beatificazione di oggi. Una figura da infilare in qualche Pantheon, da tirare per la giacchetta a fini di un facile consenso trainato dall’emozione e dai sensi di colpa.
Il punto chiave è che la storia di Craxi non è una vicenda personale. È la storia profondamente politica e ideale di una comunità, quella socialista, che ha definito il progresso e l’Italia repubblicana. Una storia che da Turati a Saragat, da Nenni a Craxi, ha operato al confine fra la sinistra e il centro.

Il finto bipolarismo italiano

È difficile collocarla in un sistema che estremizza le posizioni per fini di schieramento. Difficile collocare il socialismo di Craxi nella conservazione dello Stato dei privilegi, che fa acqua in tutti i servizi pubblici, e invece di riparare i guasti smantella sempre più gli strumenti del welfare. Difficile vederlo a suo agio in un sistema indifferente al merito e al primato della politica, immobile verso la necessità di scrivere un nuovo patto sociale con il mondo delle imprese innovative, i giovani disillusi, i professionisti che si sentono esclusi dalla rappresentanza parlamentare.
L’eredità di Craxi potrebbe essere il perno del futuro e riaprire il circuito sbarrato del finto bipolarismo italiano. Il suo socialismo avrebbe ancora molto da dire. Ma solo se non sarà cespuglio di nessuno, perché sin dalla sua alba è stato la radice di un riformismo che cambia le cose e non le parole.