Vittorio Craxi, al secolo Bobo, aveva 36 anni quando il padre Bettino moriva ad Hammamet. Ne ha seguito le impronte nel PSI, diventando anche sottosegretario di Stato agli affari esteri con delega ai rapporti con l’ONU nel secondo governo Prodi.

Per raccontare la morte di Bettino Craxi bisogna partire dalla fine della Prima Repubblica. Fu golpe bianco?
«Tecnicamente fu un Colpo di Stato ma io la chiamo “Guerra sporca”: ogni metodo fu buono per spazzare via il vecchio regime democratico. Assoldarono contractors per le perquisizioni e le intimidazioni, lettere e telefonate anonime. Tentarono persino omicidi. In Tunisia io mi sono salvato due volte da due incidenti stradali che provocarono degli infiltrati dentro casa. Fu arrestato e rilasciato un uomo che sotto copertura di servizi internazionali aveva il compito di far fuori mio padre Bettino».

A chi pensa? A una unica regìa o a una concorrenza di soggetti e di interessi che lo avevano messo nel mirino?
«La fine della logica di Yalta rese possibile un cambio ai vertici politici e gli interessi perché ciò accadesse furono molteplici ed anche di segno opposto: una tempesta perfetta».

Perfino per mandare in onda il film di Gianni Amelio, Hammamet, la Rai sembra aver esitato. Quel film può aiutare a far emergere un’altro approccio alla vicenda di Bettino Craxi?
«Quel film ha avuto il merito di rendere questa vicenda, romanzandola, un fatto storico popolare. La presenza di un grande attore come Favino ha alimentato l’interesse culturale. Le giovani generazioni si sono approcciate con curiosità alla vicenda storico-politica senza pregiudizi. Dopodiché l’inziale censura della Rai ha dimostrato che sulla figura di Craxi, anche sul grande schermo, vige un ostracismo da parte di chi collaboró alla guerra sporca del ’92».

E il paese oggi ha capito qualcosa di più di quello che è successo?
«No. Capito no. Ragionato di più sì. Almeno nel giudizio su quella che viene chiamata la prima Repubblica e i suoi uomini, questo sì. Di quello che accade fra il ‘92 e il ‘93 no. Io la dico così: Mani Pulite fu una guerra sucia. Una guerra sporca. Di cui adesso affiorano gli elementi probatori. Il metodo del pool, del fascicolo unico. Con il giudice terzo che era sostanzialmente un cagnolino al loro guinzaglio».

Perché Mani Pulite avviene proprio nel ’92? Data ad allora l’inizio di quella che chiama Guerra sporca?
«Il 1992 era un momento di cesura tra due epoche, fine della guerra fredda, inizio della globalizzazione. E quelle che furono le implicazioni internazionali e le complicità interne sono emerse soltanto parzialmente. Allora la guerra sporca generò un totale asservimento di poteri dello Stato e grandi pezzi dell’informazione che portarono alla demonizzazione, quindi all’inquisizione dei leader di quella stagione. Premendo perché il sistema dei partiti esistenti, già debilitati per propria mano, arrivasse al collasso, al suicidio e comunque alla sparizione».

Bettino Craxi fu un capro espiatorio, o lo fu l’intero Psi?
«La sparizione del Psi è il frutto di una dottrina. I colpi di Stato hanno bisogno di cancellare le tracce del regime precedente. Avendo cura di disperdere, disorientare o distrarre l’opinione pubblica: prima denigrare l’avversario, rendendolo il più odioso possibile. Nella prima fase. Poi quando l’opinione pubblica è più malleabile, colpirlo. Anche al povero Salvador Allende è accaduto così».

Ha la sensazione che Bettino Craxi possa continuare a parlare, a dirci qualcosa?
«Mio padre Bettino nasce politicamente con la temperie del dopoguerra, prima frontista e poi autonomista nenniano; costruttore del nuovo centrosinistra, uomo di Stato. Grande modernizzatore. Finisce la sua parabola politica su una posizione che potrei definire socialista democratica purissima. Se la morte di un politico è una ricorrenza meramente burocratica, non lo è mai nel suo caso, perché suscita sempre una certa passione».

Si sarebbe potuto in qualche modo intervenire per permettergli di curarsi altrove, con una esfiltrazione di cui non far sapere niente a nessuno?
«Ci sarebbero voluti un coraggio e una determinazione che non esistevano. La maggioranza di governo nel 2000 aveva semmai un qualche istinto di vendetta. Per gli ex comunisti la fine politica di Craxi, e ancor più la morte, deve essere sembrata una vendetta per la morte di Enrico Berlinguer. So bene di scene di gioia canagliesche».

La Grazia avrebbe dovuto essere firmata da Ciampi. Avete la sensazione che qualcuno lo dissuase?
«No, anche perché nessuno, in quei giorni, formalizzò la domanda. Eravamo alla ricerca di una soluzione che consentisse di chiedere e ottenere. Ma il tempo che ci fu concesso, con il precipitare della situazione clinica, non fu sufficiente».

Non venne presa in considerazione l’ipotesi di portarlo fuori dalla Tunisia?
«In alcun modo. Anche perché su di lui pendeva un mandato di cattura internazionale. Lo avrebbero arrestato quale che fosse stato l’aeroporto di arrivo».

Anche in Francia?
«Anche in Francia. Però è vero che prima di decidere per l’esilio tunisino, provò a chiedere una mano a François Mitterand per trovare riparo a Parigi».

Mitterand la negò?
«Diciamo che all’inizio acconsentì. Successivamente non se ne fece nulla. Anche perché i socialisti francesi stavano subendo a loro volta un’aggressione giudiziaria. il socialista Pierre Bèregovoy il 1° maggio 1993, ex primo ministro, colpito da indagini giudiziarie si suicidò. Vennero meno le condizioni politiche».

La sera prima, il 30 aprile, Craxi aveva ricevuto quella pioggia di monetine uscendo dal Raphael che segnò, iconicamente, l’inizio dell’era populista.
«Ne rimase colpito, ma poi se ne fece una ragione perché capì che dopo le monetine sarebbero potute arrivare anche le pallottole. Fu la goccia che fece traboccare il vaso».

Sceglierà la Tunisia, il suo primo amore. La casa di Hammamet comprata da giovane, con i primi risparmi…
«Quella era casa. Il posto dove riparò per cercare di vivere sereno gli ultimi anni della sua vita. Mi chiese di seguirlo. Lo feci».

Il mondo riformista fu pavido. Qualcuno sembrò offrire il corpo di Bettino Craxi pur di salvarsi.
«In qualche modo agevolarono la dissoluzione del Psi, con il loro comportamento. O non contribuirono a frenarla. Però era un’onda talmente violenta che spaventò tanti e probabilmente dietro alla guerra sporca c’era anche il disegno di protezione che veniva ritagliato per qualcuno. C’era chi doveva essere risparmiato. I sommersi e i salvati».

I magistrati si comportarono, verso Bettino Craxi, con maggiore veeemenza rispetto agli altri. Armati per ‘dare la caccia al cinghialone’.
«Chi si comportò in modo disumano fu soprattutto Borrelli. E d’altra parte i conti con questo signore li ha regolati la natura. All’inizio avevano pensato di essere loro i destinatari dell’operazione Guerra sporca, pensavano che avrebbero avuto le chiavi d’accesso alle stanze del potere. Poi però, come tutte le compagnie di ventura, finita la missione, si è sciolta. Tutti gli ‘eroi’ di Mani Pulite hanno ricevuto dei premi, per poi scomparire uno a uno. Qualcuno ha perfino avuto modo di pentirsi».

Che eredità lascia Bettino Craxi?
«Ha fatto la storia, con le sue limpide battaglie. Ha generato un pensiero originale. Ha rappresentato una fase di grande rilancio dell’Italia nel Mondo, ha difeso cause giuste come deve fare un Socialista. Oggi vedo tanti giovani che si incuriosiscono, prendono a studiare la sua figura, cercano di capire non facendosi sopraffare dai luoghi comuni. È una vicenda che rinnova ogni anno la sua attualità nonostante per noi sia sempre un ricordo che ci obbliga a fare i conti con il dolore».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.