"Eurodifesa? il budget c'è, la volontà forse meno"
L’economista Merler: “La domanda per asset sicuri alternativi al debito Americano aumenterà, per l’Europa è un’occasione”

Viviamo tempi sfidanti per gli analisti economici, tra tendenze imprevedibili e finanza mondiale sull’ottovolante schizofrenico dei dazi. Oggi parliamo di come si può finanziare la difesa europea con Silvia Merler, ricercatrice in Economia politica, lavora a cavallo tra accademia, think-tank, politiche pubbliche e finanza privata. Attualmente è responsabile della ricerca ESG e delle politiche presso Algebris Investments, membro non residente del think tank Bruegel e docente a contratto in Economia dei Mercati Globali per il Master of Arts in Global Risk presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies.
Dal punto di vista finanziario, il combinato disposto tra turbolenze della Casa Bianca e guerra di Putin mette noi Europa in una condizione esiziale: rafforzarci o morire. È d’accordo?
«Sono d’accordo. La seconda Presidenza Trump si preannuncia come un cambiamento secolare nell’ordine multilaterale globale e questo pone l’Europa di fronte alla necessità di profondi cambiamenti strutturali. In politica estera, l’Europa dovrà dotarsi della capacità di difendersi autonomamente. In politica economica, è tempo per una più ambiziosa svolta in direzione di un federalismo fiscale. In un mondo in cui la politica economica Americana è diventata imprevedibile, la domanda per asset sicuri alternativi al debito Americano aumenterà – e questa per l’Europa è una occasione da cogliere al volo».
Quali strumenti finanziari l’Unione Europea potrebbe utilizzare per emettere nuovo debito destinato a finanziare il sistema di difesa?
«Dal 2020 l’UE ha emesso quasi 600 miliardi di debito comune per finanziare NextGenerationEU e altri programmi. In media, ogni emissione è stata sovrascritta 8 volte, e i rendimenti restano inferiori a quelli pagati dalla maggior parte degli Stati Membri, segnale di una forte domanda degli investitori per il debito comune. Ma l’offerta non tiene il passo. Quasi 200 miliardi di debito UE arriveranno a scadenza nei prossimi quattro anni e l’emissione prevista li compensa solo parzialmente. Per soddisfare una maggiore domanda, l’Unione dovrebbe impegnarsi a garantire ai mercati un’offerta stabile di debito comune in futuro. Rifinanziare il debito esistente e finanziare con debito comune il piano Rearm Europe sarebbero due passi in questa direzione».
In che modo l’emissione di obbligazioni comuni potrebbe facilitare la riforma della difesa europea e garantire investimenti sostenibili?
«La difesa dei confini è un bene comune di dimensione pan-Europea. Ma i singoli Paesi potrebbero non avere spazio fiscale sufficiente per finanziarla adeguatamente. Un rischio simile era emerso in relazione agli aiuti di Stato durante la pandemia. All’epoca, si ebbe la lungimiranza di riconoscere che il COVID-19 era uno shock simmetrico con effetti asimmetrici. La risposta fu Next Generation EU – un piano di investimento finanziato con debito UE, comprendente anche trasferimenti fiscali intra-Europei. Il momento che attraversiamo giustifica lo stesso tipo di approccio verso la spesa per difesa UE».
Quali potrebbero essere le strategie praticabili per mantenere la disciplina fiscale durante l’emissione di debito legato alla difesa?
«I concetti di debito e capacità fiscale comune sono ancora controversi. In passato sono state avanzate proposte per strutturare il debito congiunto in modo da ridurre l’azzardo morale, ad esempio dividendolo in tranches più o meno rischiose. Ma se parliamo di debito per finanziare un bene pubblico europeo – non spesa discrezionale domestica – c’è forse bisogno di un cambio di prospettiva. L’esempio degli Stati Uniti mostra che “più debito” può voler dire “debito più sicuro” se quel debito è sostenuto da una capacità fiscale credibile, supportato da una politica economica prevedibile e gestito con l’intenzionalità di farlo diventare un asset globale».
In che misura un aumento del debito dell’UE per la difesa influenzerebbe il bilancio generale dell’Unione?
«Il debito UE è al momento garantito dalla cosiddetta “budget headroom” – ovvero il margine che esiste tra l’ammontare massimo di risorse proprie che l’Unione può richiedere agli Stati Membri (pari a 1,4% del reddito nazionale lordo della UE) e il costo effettivo delle iniziative da finanziare nel bilancio pluriennale. Un aumento significativo delle emissioni richiederebbe un aumento delle risorse proprie della UE – e quindi un maggiore grado di condivisione in materia di politica fiscale all’interno dell’Unione – a fronte del finanziamento di beni pubblici europei».
Si tratta di dare attuazione, in pratica, al piano Draghi. Un’Europa capace di difendersi autonomamente, finanziando la sua conversione in superpotenza militare, ancorché con mere finalità difensive?
«Esatto. Il rapporto Draghi delinea un ruolo fondamentale per il finanziamento pubblico di priorità comuni – tra cui la difesa, ma anche a tendere, l’innovazione e la transizione ecologica. Si tratta di uno stravolgimento nell’approccio che la Commissione UE aveva presentato solo un anno prima nel suo Strategic Foresight report – dove si faceva principalmente affidamento sul capitale privato. In un contesto geopoliticamente è più complesso e polarizzato penso che sia un cambio di prospettiva esistenziale».
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