Quello di ieri non era un sabato qualunque. Era il day after di un crollo dei mercati da migliaia di miliardi che fa ricordare la catastrofe di un secolo fa. Il giorno in cui tutto può tornare in gioco. E ci sono due 5 aprile. C’è quello italiano, dove va in piazza un’opposizione che non propone, unita solo dal “no Europa”, nei fatti succube dei due dogmi paralleli della pace militare putiniana e della guerra economica trumpiana. Un sodalizio che non esiterà a chiedere che un paese libero e martoriato come l’Ucraina sia regalato al suo aggressore. Saranno gridati slogan buoni per Tik Tok, e non a caso in prima fila ci sarà anche una colorita influencer, al grido di “venite venite, qui è tutto gratis”. Giuseppe Conte storce il naso, ma chi di populismo ferisce…

Ma il 5 aprile è anche un giorno americano. Già 250mila cittadini Usa hanno detto sì ad un calendario di 1.100 manifestazioni anti Trump che tocca tutti e 50 gli Stati americani. La liturgia dell’uomo forte scricchiolava già ai piani alti del potere. Finora i segnali negativi dei big dell’economia e della finanza non erano mancati, sia pure dietro l’adesione formale al trumpismo. Ma oggi, dopo un’ondata di dazi che fa prevedere inflazione e recessione, e in prospettiva la diminuzione del ruolo degli States nel mondo a favore della Cina, il fronte finanziario rafforza la sua ostilità. Perché va bene la retorica della difesa della democrazia, ottenuta attraverso una sorta di gendarmeria universale, ma la priorità americana resta la tutela del portafoglio. E ai poteri forti si affianca ora il potere sommerso della gente comune. Non a caso, le manifestazioni di oggi parlano di diritti lesi ma anche della paura di un futuro da poveri.

Sono i primi vagiti di un’altra America, popolare e pragmatica, dopo che si erano perse le tracce di Kamala Harris e di tutti i democratici. Il dato che mobilita un’opposizione finora ipnotizzata dal populismo muscolare di Trump e Musk, è uno solo. Comincia ad apparire chiaro che l’estrema destra mondiale di oggi ha un difetto peggiore rispetto a quello di profanare le alleanze storiche e il sacrario dei diritti civili: infrange la regola chiave del capitalismo liberale. Se non si difende e tutela la ricchezza, non soltanto crollano le possibilità di sviluppo e di welfare ma finisce per venir meno la stessa sicurezza economica su cui i cittadini e le famiglie hanno impostato i loro progetti e il loro destino. È questo mondo che oggi fa capolino in America, per dire “guardate che ci siamo anche noi”.

Si profila quindi una strana joint venture fra i big di Amazon, Apple o Meta e il singolo cittadino, che vede con terrore il peso delle migliaia di dollari che dovrà sborsare in più anche solo per la sua vita quotidiana o per l’acquisto di un’automobile. Se c’è il famoso operaio del Michigan a tifare per Trump contro le élites, da oggi entrano in scena un qualsiasi impiegato del Texas o funzionario del Nevada, che si chiedono se davvero ne è valsa la pena, di consegnare il Paese ad un miliardario che gioca d’azzardo sulla loro pelle.