Aveva più di 170 proiettili e in auto soldi e vestiti
I fantasmi del killer di Fidene, il figlio morto e la casa mai finita: “Mi tengono senza luce ma al buio si spara meglio”
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che una domenica mattina di dicembre in cui si stava svolgendo l’assemblea di condominio, si sarebbe potuta trasformare in una strage. La follia ha preso il sopravvento a Fidene, periferia di Roma in zona Colle Salario, dove Claudio Campiti, 57 anni, ha impugnato la pistola, portata via dal poligono poco prima, e ha sparato sui condomini del Consorzio Valleverde, un complesso residenziale sul lago del Turano, a metà strada tra i comuni di Ascrea e Rocca Sinibalda, in provincia di Rieti, che si erano riuniti per la consueta assemblea di fine anno. Ha ucciso tre donne e ha ferito altre quattro persone, di cui una in modo grave. Poi la pistola si è inceppata e alcuni dei presenti gli si sono piombati addosso disarmandolo e fermando quella strage che forse sarebbe continuata. Campiti aveva con se 170 proiettili e anche un secondo caricatore.
Secondo la ricostruzione fatta da Repubblica, in serata Campiti è stato fermato con l’accusa di triplice omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, il triplice tentato omicidio, in riferimento alle persone rimaste ferite, e il porto abusivo di armi. Quando è arrivato sul posto dove si stava svolgendo l’assemblea di condominio aveva con se il passaporto e in uno zaino vestiti e sei mila euro in contanti. Per questo la Procura parla anche di pericolo di fuga.
Ex imprenditore, Campiti viveva come un fantasma nello scheletro della villetta vista lago che aveva acquistato nel 2010. Il Corriere della Sera racconta che era sposato e aveva due figlie. Quella villetta doveva essere la casa per le vacanze per tutta la famiglia. Ma era rimasta incompiuta con solo il piano terra chiuso con quattro mura. Viveva con un allaccio elettrico abusivo, senza acqua e senza servizi igienici. Campiti se ne stava lì nel buio a covare odio e a scrivere minacciosi post sui suoi social e sul suo blog. Aveva anche piazzato delle telecamere di videosorveglianza all’esterno della villetta asserendo che gli erano stati rubati dei ciocchi di legna. Di recente gli era stata notificata l’ingiunzione di pagamento, da cui è sfuggito per mesi. “Mi stanno tenendo senza pubblica illuminazione, si sa al buio si vede meno e si può sparare in tranquillità”, scriveva sul suo blog, come riportato da Repubblica. Oggi quelle parole risuonano ancora più agghiaccianti.
Un tragico evento aveva rotto l’equilibrio e l’animo di Campiti. Nel 2012 suo figlio 14enne, Romano, morì in Val Pusteria in un incidente durante una gita in slitta sulla Croda Rossa. Iniziò così la battaglia giudiziaria finita con tre condanne, e la creazione di una fondazione con il nome del ragazzo scomparso. Poi quel suo precario equilibrio si è rotto ancora di più e sono iniziate le denunce, le controdenunce e le minacce al Consorzio e i dispetti. Come quando l’estate scorsa aveva aggredito dei ragazzini che giocavano a pallone, girava mezzo nudo e aveva affisso uno striscione alla sua casa con sui scritto “Consorzio raus”. Le minacce ricevute dai consorziati avevano portato a una denuncia in Procura che, secondo le vittime, è stata persa. “Abbiamo appreso della denuncia ma non possiamo dire nulla al momento”, ha confermato il pm di turno. Poi la situazione è precipitata in una domenica di dicembre quando Campiti ha impugnato l’arma e ha sparato.
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