C’è Marco (nome di fantasia), che a 15 anni decide di impiccarsi dopo, pare, un’incomprensione coi genitori. C’è Luisa, altro nome di fantasia, che salta sotto la metro dopo, sembra, una delusione d’amore. C’è Roberto, sempre nome di fantasia, che si lancia nel vuoto senza lasciare alcuna spiegazione.

Ci sono nomi di fantasia, ci sono i “pare” e i “sembra” che riempiono le pagine di cronaca nera. Ci sono sempre le descrizioni di amici, compagni di scuola e perfino di genitori e parenti. Ci sono sempre domande senza risposta, richieste di aiuto e un generale invito a far sì che non accadano più tragedie così.

Ci sono sempre le stesse cose, gli stessi tratti che dipingono un quadro che cambia e allo stesso tempo rimane immutato: cambia il nome, cambia il gesto, ma rimane sempre tutto fermo, senza mai un tentativo, un primo passo vero verso la prevenzione per far sì che quel quadro non sia più visto e non occupi più pagine di cronaca.

L’ospedale pediatrico Irccs Bambino Gesù ha diffuso pochi giorni fa i dati sui ricoveri registrati per tentativi di suicidio: 387 nell’ultimo anno. Nel 2011 erano stati 12. Nel 2018, 237. Un aumento continuo, costante, impressionante, accelerato dal Covid.

Telefono Amico Italia, associazione nata negli anni ‘60 che dà ascolto e supporto e chiunque provi disagi e viva nella solitudine, ha diramato alcuni dati, altrettanto impressionanti. Nei soli primi sei mesi del 2023 sono state 3.700 le richieste di aiuto ricevute. Il 26% di queste richieste arrivano da giovani con età inferiore a 26 anni. Se consideriamo solo il canale chat, ben il 19% delle richieste sono arrivate da adolescenti. Ma non è difficile immaginare che tante altre richieste sono rimaste nella testa dei ragazzi, su bozze di messaggi mai inviati o tra qualche post sui social.

Un quadro desolante, che diventa ancora più difficile da sopportare e accettare se pensiamo che, solo al Bambin Gesù di Roma, ogni giorno (ogni giorno!) almeno quattro ragazzi accedono in emergenza per problematiche mentali, e che solo lo scorso anno si sono registrati ben 544 ricoveri nel reparto protetto di Neuropsichiatria. Problemi spesso legati all’autolesionismo, in crescita forte negli ultimi anni ed esploso come conseguenza della traumatica esperienza della pandemia.

Numeri freddi, dolorosi, deprimenti. Numeri che ogni tanto ritornano alla ribalta su giornali e telegiornali, e che poi tornano in quel quadro fermo e immutabile, in attesa del prossimo aggiornamento. Una freddezza che rappresenta una tragedia umana e sociale, una sconfitta per l’intera società. Perché se un adolescente sceglie di compiere un gesto così estremo, la responsabilità è di tutti, nessuno escluso.

Chi insegna il futuro ai ragazzi, oggi? Chi dà loro speranza? Chi li aiuta ad affrontare i problemi di ogni giorno, tipici di quell’età, ma che magari nel 2023 e dopo due anni di pandemia sono ancora più difficili da gestire? Chi dà loro certezza che vi possa sempre essere una soluzione? Chi li ascolta davvero?

Viviamo un presente travolgente e spesso, noi adulti, siamo i primi a capitolare. Noi, che dovremmo essere esempio e ascolto, siamo spesso dalla parte sbagliata del confronto: non più educatori, non più punti saldi e solidi, non più certezze. Non più ragionamento e pensiero, ma disinteresse.

È facile pensare che nel 2023, quando tutto è a portata di un clic e quando tutto è condivisione, non ci siano problemi, o, meglio, ci sia una soluzione a tutto, e che loro primi siano capaci e abilitati nel trovarla. È qua l’errore: pensare che un adolescente abbia già tutti gli strumenti e i mezzi per poter trovare il proprio posto nel mondo, per decodificare un mondo che risulta indecifrabile anche a chi è già adulto da un po’, che tutte le risposte siano a portata di mano. Dovremmo invece ascoltare di più, capirli a fondo, non fermarci ad apparenze e dare noi, per primi, mezzi e strumenti per permettere loro di capire la vita, le difficoltà, i problemi, gli ostacoli che essa presenta tutti i giorni, e che magari a 16 anni sembrano invalicabili.

Occorre un sistema di prevenzione vero, reale, concreto, che abbracci scuole e genitori, insegnanti ed educatori, psicologi e strutture mediche, associazioni e percorsi formativi. Occorre farlo subito, altrimenti il prossimo anno leggeremo ancora altre storie di nomi di fantasia e ci troveremo a impallidire davanti a numeri strazianti, per poi girare pagina e tornare alla quotidianità.

Dov’è finita la proposta di legge sull’istituzione dello psicologo scolastico, che anche ScuolaZoo aveva supportato facendosi portavoce delle migliaia di richieste e segnalazioni giunte durante la pandemia, e che pure aveva il supporto di quasi tutte le forze politiche presenti in Parlamento? Dove è la prevenzione nei programmi scolastici di un anno appena iniziato? Dove sono gli investimenti in tal senso che anche il PNRR poteva agevolare?

Dobbiamo assumerci la responsabilità collettiva di proteggere i nostri giovani e il loro, il nostro futuro, con l’obiettivo di non trovare più nomi di fantasia da dare a tragedie, sempre diverse e sempre uguali.