Il contrappello
Il contrappello “Venice for Peace” che mette alle corde i vip pro-Pal
La Mostra del Cinema di Venezia è nata come spazio di libertà e di incontro tra culture, non come una curva da stadio dove ci si divide in tifoserie. Eppure, in questi giorni, un appello firmato da centinaia di artisti italiani ha chiesto di escludere dal red carpet attori e registi israeliani o ritenuti filoisraeliani, pretendendo che prendano le distanze da Israele e dalle sue azioni militari.
Un documento che, nell’ansia di schierarsi “per la Palestina”, dimentica volutamente ciò che ha dato inizio a questa guerra: il terrorismo di Hamas, la strage del 7 ottobre, i rapimenti, gli stupri usati come arma di guerra, la scelta di un movimento estremista di sacrificare la propria popolazione pur di non arrendersi. Su tutto questo: silenzio. Ancora più grave è il distinguo contenuto in quell’appello, che invita solo gli artisti di origine araba o islamica a prendere posizione. Una pretesa che fa inorridire per la sua parzialità e che tradisce l’idea stessa di cultura come spazio universale: la responsabilità morale non appartiene a un’etnia, a una religione o a un passaporto, ma a chiunque calchi il palcoscenico mondiale del cinema.
È grottesco dover rispondere con un contro-appello. Ma è necessario, perché la cultura non può diventare megafono di una narrazione a senso unico. Quando si tace sul terrorismo, quando non si chiede la liberazione degli ostaggi, quando si ignora che la pace non arriverà mai senza la resa di Hamas, allora non si fa arte: si diventa complici. Per questo noi, firmatari di Venice for Peace, chiediamo alla Biennale di Venezia di ristabilire la misura delle cose e la dignità del red carpet.
Chiunque voglia sfilare sotto i riflettori di Venezia deve:
- Condannare senza ambiguità il terrorismo e le violenze contro i civili, ovunque esse avvengano
- Prendere le distanze da Hamas e dai crimini del 7 ottobre, che hanno inaugurato questa guerra
- Ripudiare l’uso dello stupro e della violenza sessuale come arma di guerra
- Chiedere la liberazione immediata e senza condizioni degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas
Chi non è disposto a pronunciare queste verità elementari – che non appartengono a una parte politica, ma all’umanità intera – non dovrebbe avere diritto di sfilare come simbolo della cultura e della pace. La pace non è una bandiera di parte. È una scelta di civiltà. Spezziamo il circolo vizioso di un mondo artistico che pretende condanne a senso unico e impone un conformismo morale scandaloso. Solo così la Mostra del Cinema potrà restare fedele alla sua missione: unire invece che dividere, ricordare invece che cancellare, costruire invece che distruggere.
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