Esteri
Il discorso di Melania Trump alla convention repubblicana con cui ha fatto un mazzo così a tutti
Bette Midler, vecchia vedette dello spettacolo americano, donna spumeggiante intelligente e liberal si è fatta molto male sui media quando ha tweettato, dopo aver ascoltato il discorso di Melania Trump: «Ma questa qui ancora non sa l’inglese!». E poi ha scritto: «Buttate fuori dal palco quella straniera illegale, Illegal alien», una straniera illegale.
Autogol spaventoso, e non soltanto della Midler, ma di tutti coloro che speravano di poter prendere la First Lady a secchiate di fango e battutacce umilianti, perché le cose sono andate molto diversamente. «Razzista, nemica degli immigrati» sono state le prime reazioni alla Midler e a quei pochi che pensavano di poter ridicolizzare la moglie di Trump. Tutti quelli che ci hanno provato si sono ritrovati coperti dall’accusa di razzismo. Come se avessero detto: non fatevi ingannare dalle apparenze, questa donna non è bianca, non è come noi. Ed è vero: Melania Trump parla un magnifico imperfetto inglese di chi è nato altrove, un inglese grammaticalmente correttissimo, ma con un clamoroso accento europeo: pronuncia la “erre” facendo toccare il palato dalla lingua; pronuncia delle tonde “u” quando dovrebbero essere “iu” e da brava europea ignora quel suono “shwa” della vocale atona, sorda. Lei pronuncia tutto il discorso lettera per lettera – cosa per nulla inglese. E tuttavia con disciplina ha ben pronunciato in modo ben aspirato ogni singola acca che gli europei in genere ignorano. Ma, certo, la First Lady ha un accento, quello della sua Old Country, il paese dei genitori e dei nonni, nel suo caso la Slovenia da cui è arrivata negli anni Novanta.
Ha tutto ciò un significato politico al di là dei contenuti? Sì, ed è stato colto da molti americani anche democratici: «Io sono una immigrata nella terra degli emigrati. Mi sono messa in fila per otto anni in attesa di giurare come cittadina americana. E come emigrata straniera sono una perfetta americana e ho titolo per parlare a nome di tutti coloro che sono emigrati in questo Paese – the land of opportunities – per realizzare il mio personale American dream».
Sembrano per noi, annoiati e smaliziati europei, parole retoriche ma dall’altra parte dell’oceano suonano – hanno suonato fra le labbra di Melania – come squilli di tromba. È stato uno shock perché nessuno si aspettava una cosa del genere. Forse nemmeno Donald che si contorceva in prima fila come un marito in sala parto. Lei, onestamente, non era soltanto bella come il sole anche con quel vestito verde marcio perfetto per i suoi capelli e firmato da Alexander McQueen, vestito contro cui si sono attaccati tutti i social “dem” definendolo di taglio militare e persino castrista. Ma per il resto è stata lodata da tutti anche perché ha preso alcuni sentieri che andavano oltre il suo ruolo.
Quanto al ruolo, vale la pena ricordare che costituzionalmente una First Lady non equivale banalmente alla moglie del Presidente, ma a un regina consorte: quando gli Stati Uniti furono fondati, non esistevano Repubbliche democratiche, salvo quella oligarchica di Venezia e per questo erano visti quasi con lo stesso scandalo con cui nel 1917 fu vista la nascente Unione Sovietica e gli americani cercarono far apparire per quanto possibile il loro Presidente come un monarca eletto a tempo limitato, ma pur sempre un monarca che per moglie ha una vera regina, con i suoi compiti di rappresentanza istituzionali, in grado di sedere fra le teste coronate che hanno dominato il mondo fino al 1918.
Melania è la seconda First Lady non nata negli Stati Uniti, ma è l’unica che abbia conquistato da sola, come immigrata, la difficile cittadinanza con pienezza di diritti e di doveri. Quindi, anche se ha sposato un grande imprenditore che poi è diventato presidente, non deve a nessuno l’aver superato tutte le prove che la land of opportunities impone ai nuovi cittadini. Anche questa è una faccenda molto delicata di cui in Europa ci rendiamo conto molto poco: nessuno, nemmeno Trump, ha attaccato l’immigrazione in sé. Anzi, Trump si è divertito a mostrare le cifre dei suoi dipendenti messicani e delle donne in ruolo di manager nelle sue aziende, con il più alto numero di donne nere. La questione degli immigrati, in America (e ovunque) è tale soltanto se si parla di immigrati illegali. Proprio perché l’America è fondata sull’arrivo e l’assimilazione degli immigrati, con il suo Far West conquistato dai carriaggi dei tedeschi, svedesi, russi, olandesi e cinesi, quel Paese ha sempre voluto stabilire le “quote” annuali di nuovi arrivati accettati o respinti secondo provenienza. Per fare un esempio: nell’anno in cui i nonni del futuro sindaco di New York, Rudolph Giuliani, furono ammessi ad emigrare da Genova, non erano accettati italiani dall’ex Regno delle due Sicilie. Così è stato per tutte le immigrazioni di cui l’immigration service ha cercato di mantenere il governo stabilendo chi e da dove potesse venire a mettersi in fila per ottenere la cittadinanza americana, cosa diversa dall’ammissione al diritto di lavorare a contratto. Gli ebrei nel secolo scorso furono ammessi a singhiozzo e nello stesso modo furono ammessi per flussi arabi e orientali. Si può giudicare la politica di Trump secondo le proprie opinioni, ma l’attuale presidente è stato quasi sempre messo alla berlina come un disumano campione contro i migranti, mentre il punto di vista repubblicano è sempre stato quello di garantire il controllo governativo per quote e per investimenti necessari per assorbire le quote. Dunque, il discorso di una bella moglie del Presidente che in realtà è una regina costituzionale, che ha esposto sé stessa nella sua qualità di immigrata per sottolineare la sua maggior qualità americana – essere “diventata” americana – ha in America un valore che in Europa in genere sfugge.
Ha fatto cioè un discorso in casa repubblicana che un tempo si definiva compassionate conservative, conservatore ma con forti toni di solidarietà umana per gli emigranti, per i malati di Covid, per tutti coloro che soffrono e che lei ha visto soffrire nei tanti viaggi col marito. Ne ha ricordati due: uno a Roma dove all’ospedale Bambin Gesù ha conosciuto un bambino che aspettava un nuovo cuore senza il quale sarebbe morto, e quando è atterrata in un’altra città ha saputo che quel bambino aveva ricevuto il cuore ed era salvo. E poi dall’Africa. Ha avuto un’espressione ben controllata e ben studiata, ma le hanno brillato gli occhi in modo molto malizioso quando ha detto più o meno: «Immagino che abbiate capito che tipo è Donald. È uno che non riesce a tenersi nulla in corpo e dice tutto quel che pensa senza badare a spese: si espone a molte critiche, ma non potete negare di sapere tutto di lui perché non ha nulla di politico, non parla come un politico ma in compenso sa fare le cose giuste per proteggere questo Paese».
Nel campo di Agramente, ovvero democratico, il discorso di Melania è stato accolto con preoccupazione perché ha smussato gli angoli, è stata molto appassionata, esprimendo insieme alla severità istituzionale momenti toccanti e alcuni molto ironici. E anche politico, perché ha affrontato la questione della divisione incolmabile fra gli americani e ha voluto rimarcare il fatto che lei non si sarebbe aggiunta al coro, non avrebbe attaccato nessuno. Ha fatto appello alle donne e in particolare alle donne che hanno perso i loro figli. Ha spiazzato esattamente quanto hanno spiazzato gli oratori neri che sono venuti al microfono per dire: «Dunque, essendo io uno con la pelle nera, secondo Biden devo votare per lui? Che cos’è? Il nuovo razzismo? Dobbiamo votare secondo colore della pelle?». Alla fine, Trump che si è alzato dalla sua poltrona quasi barcollando, l’ha abbracciata e l’ha baciata sulla guancia. Anche qui forse non ci rendiamo sempre conto dei simboli e dei loro valori, anzi del valore della sfida ai simboli. Esiste in America una sigla Pda che sta per Public Display of Affection, che significa mostrarsi gestualmente affettuosi in pubblico. Le coppie non sono in genere Pda, Troppo esibizionismo latino, bacetti e sbaciucchi. Noi italiani siamo presi particolarmente in giro perché pretendiamo di dare ben due baci sulle guance, quando basterebbe un cenno di saluto. Girare tenendosi per mano è estremamente Pda e molto sconsigliato fra i non latinos e altre genie meridionali. Dunque, quando ieri l’altro tutta l’America ha visto per la prima volta nella storia il suo presidente andare a baciare sulla guancia la First Lady reduce da un impegno istituzionale per poi allontanarsi con lei sotto un portico di luci soffuse, ancora inseguiti dagli applausi. Hanno visto qualcosa di sconsiderato. Certamente poco conservatore.
© Riproduzione riservata




