Giustizia
Il Governo blocca tutto: adesso arriva lo stop alla riforma sul sequestro dei cellulari
Dopo aver frenato la riforma sulla separazione delle carriere e sull’abuso d’ufficio, ora lo stop arriva anche per quella che avrebbe regolamentato il sequestro dei telefonini
Il governo sulla giustizia blocca tutto. Dopo aver ‘congelato’ la riforma della separazione delle carriere, quella dell’abuso d’ufficio e dell’intercettazioni telefoniche, ecco arrivare lo stop anche a quella che avrebbe dovuto regolamentare il sequestro dei telefonini. Ieri, infatti, al momento della discussione degli emendamenti in Commissione giustizia in Senato, dove è incardinato da prima dell’estate questo Ddl di iniziativa parlamentare, è piombato all’improvviso il numero due del Guardasigilli Carlo Nordio, il vice ministro Francesco Paolo Sisto (FI), chiedendo alla presidente Giulia Bongiorno un rinvio per non meglio precisate necessità di “approfondimenti tecnici”. “In altre parole, il governo ha inaugurato l’inedita stagione dell’ostruzionismo alla sua maggioranza”, ha allora immediatamente dichiarato il senatore Alfredo Bazoli, capogruppo Pd in Commissione giustizia al Senato. “Più che pensare a riforme epocali, sarebbe già qualcosa se al Ministero delle giustizia si occupassero di mettere un po’ d’ordine alla totale confusione’’, ha poi aggiunto Bazoli davanti agli ammutoliti colleghi della maggioranza, evidentemente spiazzati da questa quanto mai singolare iniziativa del governo. “Mi pareva che il tema fosse già stato sufficientemente ‘arato’, tenuto conto che il testo recepiva gli esiti dell’indagine conoscitiva sulle intercettazioni.
Se il governo ha bisogno di ulteriore tempo, in quanto a suo dire in ‘overbooking’, non sarò certo io a creare problemi”, ha replicato il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin che, insieme alla presidente della Commissione Giulia Bongiorno, era stato il promotore del testo. Il sequestro del telefonino, in considerazione dei dati altamente sensibili contenuti, necessita, secondo i relatori, di garanzie al pari delle intercettazioni e la selezione dei contenuti dovrebbe essere assistita da un contraddittorio tra le parti per decidere cosa sia rilevante a fini processuali, anche in relazione alla conservazione dei dati nell’archivio digitale delle intercettazioni. “Questo aspetto rappresenta una lacuna normativa evidenziata in tutte le audizioni svolte nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul trojan, sia da parte di studiosi, che da parte degli operatori della giustizia. Il sequestro di uno smartphone, è di tutta evidenza, non è un sequestro come tanti altri essendo, di fatto, equiparabile ad una ‘intercettazione’ telefonica”, avevano sottolineato Bongiorno e Zanettin.
All’interno dello smartphone sono normalmente contenute le chat attraverso i vari social che consentono di ricostruire, anche a distanza di tempo, le conversazioni intercorse fra il possessore dell’apparato e altri soggetti. La lacuna, primo dello stop di Sisto, doveva essere colmata con il nuovo articolo 254 ter del codice di procedura penale: “Sequestro di dispositivi e sistemi informatici, smartphone e memorie digitali”. A dare manforte all’iniziativa parlamentare, la Cassazione che ha stabilito riguardo al sequestro di tali dispositivi la illegittimità, per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza, in caso di mancata indicazione “di specifiche ragioni a un’indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute”.
L’autorità giudiziaria, con la nuova disposizione, dovrebbe indicare le ragioni che rendono necessario il sequestro “in relazione al nesso di pertinenza fra il bene appreso e l’oggetto delle indagini”, specificando le operazioni tecniche da svolgere sullo smartphone e i criteri che verranno utilizzati per selezionare, nel rispetto del principio di proporzione, i soli dati effettivamente necessari per il prosieguo delle indagini. La riforma voluta da Bongiorno e Zanettin a tal proposito dispone che se vi sia il sospetto che il contenuto dei dispositivi possa essere cancellato, alterato o modificato, l’autorità giudiziaria deve impartire le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne a chiunque l’analisi e l’esame sino all’espletamento, in contraddittorio con gli interessati, delle operazioni di selezione dei dati. Entro cinque giorni dal sequestro, il pubblico ministero deve quindi avvisare la persona sottoposta alle indagini, la persona alla quale il telefonino è stato sequestrato, la persona alla quale dovrebbe essere restituita e la persona offesa dal reato e i relativi difensori del giorno, dell’ora e del luogo fissato per l’affidamento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici. Sulle eventuali questioni concernenti il rispetto dei princìpi di necessità e di proporzione nella selezione dei dati, il pubblico ministero decide entro 48 ore con decreto motivato. Entro le 48 ore successive, il giudice per le indagini preliminari, con decreto motivato, convalida in tutto o in parte il provvedimento del pubblico ministero, eventualmente limitandone gli effetti solo ad alcuni dei dati selezionati, ovvero dispone la restituzione del dispositivo e della eventuale copia informatica nel frattempo realizzata. Insomma, nulla di clamoroso ma che, evidentemente, il governo ormai appiattivo sulle Procure della Repubblica ha ritenuto fosse meglio soprassedere.
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