L’esperienza de Il Manifesto, lo storico giornale della sinistra italiana che nel 2021 compirà 50 anni di vita, rischia nuovamente di finire. Tra i tantissimi emendamenti approvati per la legge di Bilancio, il “marchettibus”, come l’ha definito il deputato di Fratelli d’Italia Federico Mollicone ricordando le decine di bonus e minibonus che vanno da quelli per gli occhiali a quelli per le docce, non c’è traccia dei fondi destinati all’editoria.

L’emendamento che prevede l’allungamento della scadenza dei fondi ai giornali gestiti da cooperative che beneficiano di una quota pubblica, tra cui Il Manifesto, non è infatti passato. Per Norma Rangieri, direttrice del giornale, la manina e la responsabilità dietro la bocciatura è evidente: il Movimento 5 Stelle.

Un mondo grillino che già in passato aveva mostrato una certa ‘allergia’ al garantire la pluralità dell’informazione: è sufficiente ricordare infatti la querelle che vide protagonista Vito Crimi, attuale reggente politico dei pentastellati, quando da sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, ingaggiò una “battaglia” su Radio Radicale. Movimento 5 Stelle che fu anche l’unico partito a votare contro l’emendamento del dl crescita che dava 3 milioni di rifinanziamento all’emittente radiofonica che dagli anni ’90 in virtù di una convenzione rinnovata ogni anno automaticamente, trasmette le sedute del Parlamento.

Anche la storia de Il Manifesto e del niet all’allungamento della scadenza dei fondi ai giornali gestiti da cooperative che beneficiano di una quota pubblica ricorda da vicino la vicenda di Radio Radicale. A denunciarlo apertamente è Norma Rangieri nell’editoriale pubblicato oggi sul quotidiano comunista: “Sono stati elargiti soldi pubblici alla qualunque, persino alle celebrazioni dell’ottavo centenario del presepe, all’aumento di stipendio dei prefetti, alla sostituzione dei soffioni delle docce, o all’ultima trovata dello «smartphone di governo» con abbonamento incorporato a due quotidiani. E siccome il manifesto non ha sponsor politici l’emendamento che avrebbe sospeso i tagli (e che a differenza dei due citati non avrebbe comportato costi notevoli) è stato bocciato”.

Rangieri ricorda quindi come “anche l’ultima volta che tentarono di toglierci di mezzo fu con il governo giallo-verde. E anche allora a volerci fuori dalle edicole erano sempre gli stessi, non la Lega fascistoide ma i democratici 5Stelle. Se non riuscivamo a stare sul mercato con le nostre gambe dovevamo rassegnarci a chiudere. Una vera mascalzonata visto che il mercato non esiste perché a governarlo sono le concentrazioni finanziarie a capo delle maggiori testate nazionali. Oltre al fatto che considerare l’informazione e i giornali come una marca di detersivo è solo il segno di una straordinaria ignoranza se non di una perfetta malafede”.

Colpe che però ricadono anche su Partito Democratico e Leu: “Sicuramente l’ideologia da quattro soldi dei pentastellati sull’equivalenza tra informazione e mercato si conferma il nostro più accanito avversario, ma dobbiamo dire con altrettanta franchezza, che né il Pd, né LeU, malgrado occupino posizioni rilevanti nei luoghi-chiave dove queste decisioni vengono prese, hanno ritenuto di dover difendere la nostra testata e dunque il pluralismo dell’informazione, né di dover mettere in campo una politica di settore”, scrive infatti la direttrice de Il Manifesto.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia