La politica deve capire una volta per tutte che il sistema delle misure di prevenzione non funziona”, afferma Piero Cavallotti, imprenditore siciliano la cui azienda di famiglia nel 1999 venne sequestrata nell’ambito di una inchiesta per associazione di stampo mafioso.

Nel 2011, pur essendo stato definitivamente archiviato il procedimento, la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo allora presieduta da Silvana Saguto, poi radiata dalla magistratura e condannata ad otto anni di prigione proprio per l’illecita modalità con cui gestiva i beni, tramutò il sequestro in confisca.

Per motivare la decisione vennero utilizzate le stesse fonti di prova che i giudici penali avevano ritenuto inidonee per sostenere l’accusa di mafia.

L’azienda, nel frattempo gestita dagli amministratori giudiziari, era però fallita, mandando così la famiglia Cavallotti, al termine del processo risultata essere vittima delle estorsioni dei clan, sul lastrico.

Nel 2016 i Cavallotti, assistiti dagli avvocati Baldassarre Lauria e Alberto Stagno d’Alcontres, decisero allora di presentare ricorso alla Cedu.

Il ricorso è stato dichiarato ammissibile ed i giudici di Strasburgo hanno posto alcune questioni al governo italiano. Ad esempio, se la confisca dei beni a soggetti assolti in un processo penale non violi la presunzione di innocenza. Poi, se è stato motivato che i beni confiscati avrebbero potuto essere di provenienza illecita sulla base di una valutazione obiettiva delle prove fattuali, e senza invece basarsi su un mero sospetto. Ed infine, se l’inversione dell’onere della prova quanto all’origine legittima dei beni acquisiti molti anni prima abbia imposto un onere eccessivo ai ricorrenti.

In una lettera indirizzata all’Agenzia dei beni confiscati, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ai ministri dell’Interno e della Difesa, i Cavallotti hanno quindi chiesto di sospendere “qualsiasi eventuale iniziativa volta all’utilizzo dei beni oggetto della confisca di prevenzione” fino alla decisione della Cedu o, in subordine, “fino alla comunicazione da parte del governo italiano delle sue determinazioni”, che dovranno essere comunicate entro il 13 novembre a Strasburgo.

La richiesta di sospensiva risponde ad una esigenza reale: i beni sono già stati danneggiati e rischiano di diventare inutilizzabili. “Per assurdo – aggiunge Cavallotti – se i beni venissero assegnati a qualche associazione e la Cedu dovesse darci ragione non riavremmo le nostre case che hanno per noi un grande valore affettivo, ma l’equivalente in denaro. Beni che nel frattempo sono stati vandalizzati: i ladri hanno portato via tutto, anche le piastrelle e i sanitari. Chi ci dovrebbe risarcire? L’Agenzia che non ha vigilato e che dice di non avere risorse? Ci sono danni che si potevano evitare e che non potranno mai essere risarciti. Altri, però, si possono ancora scongiurare”.

La pronucia della Cedu sarà sicuramente un grande passo avanti, perché per la prima volta potrebbe essere riconosciuto il fatto che il sistema di prevenzione contrasta in alcuni suoi aspetti con la Convenzione europea: l’uso di presunzioni e di meri sospetti ha soppiantato la ricerca della prova”, ricorda Cavallotti, aggiungendo che “occorre impedire che una persona assolta per gli stessi fatti si veda portare via tutto il patrimonio come è successo alla mia famiglia. La lotta alla mafia non devetrasformarsi in una inaccettabile persecuzione di innocenti”.

“Mi rendo conto – continua – che la revisione del sistema delle misure di prevenzione non è nel programma della coalizione. Ma non ci può essere lotta alla mafia senza il rispetto dei diritti e delle garanzie costituzionali”.

Attualmente il 90% delle aziende sottoposte a sequestro e finite in mano agli amministratori giudiziari falliscono dopo poco.

Senza contare che la confisca determina la perdita, dall’oggi al domani, di ogni bene, impedendo di poter continuare a lavorare, amandare i figli a scuola, a fare la spesa.

Il mese scorso, comunque, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, intervenuto in prefettura a Palermo per la firma di un protocollo d’intesa per l’assegnazione di alcuni beni confiscati alla mafia, aveva affermato che la normativa italiana “è un unicum nel panorama mondiale: siamo richiesti da Paesi stranieri, anche europei per vedere come funziona il nostro sistema. È bene celebrarlo nella maniera dovuta”.

Rivedere la legge sulle misure di prevenzione non vuol dire fare un regalo alle mafie, non significa indebolire la lotta contro la criminalità organizzata. Vuol dire solo evitare che la vita di persone innocenti venga distrutta nuovamente. Com’è capitato alla mia famiglia”, puntualizza Cavallotti.

Paolo Pandolfini

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